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 2015  aprile 24 Venerdì calendario

A New York, il trionfo del Made in Italy. All’inaugurazione del Whitney Museum Renzo Piano presenta la borsa da lui progettata e realizzata da Max Mara. I proventi della collaborazione andranno alla Fondazione dell’archistar che finanzia stage di giovani architetti

Renzo Piano prende la parola ed è subito silenzio nella hall del nuovo Whitney Museum realizzato dall’architetto genovese. La New York dell’arte, accorsa per l’inaugurazione nella zona del Meatpacking, lo ascolta con grande rispetto. «Siamo nella hall del museo – dice Piano – Ma mi piace di più chiamarla piazza. Perché sono italiano e in Italia in piazza ci viviamo. Uno spazio che non deve intimidire, non deve essere pretenzioso». Ad ascoltarlo ci sono anche i membri della famiglia Maramotti, Max Mara insomma. Renzo Piano è un italiano che ha esportato il suo talento e anche per questo Luigi Maramotti, presidente del gruppo, è felice di aver legato al nome del grande architetto un oggetto che resterà anche nella storia di questo museo: la Max Mara Whitney Bag design by Renzo Piano Building Workshop. Una borsa che nasce dalla collaborazione tra lo studio della prima archistar italiana (ma chissà se gli piacerebbe essere definito così) e l’azienda di una famiglia di grandi collezionisti d’arte moderna.
LA COLLABORAZIONE
Poco prima dell’inaugurazione, bevendo un caffè, Luigi Maramotti racconta come gli è riuscito. «Max Mara è sempre stato un partner del Whitney Museum – dice – Negli anni abbiamo prestato spesso opere della nostra collezione di giovani artisti americani. Così, oltre un anno fa, è stato proprio il board del Whitney Museum a chiederci se ci interessava sponsorizzare il party di inaugurazione del nuovo Whitney realizzato da Renzo Piano. Ci sono voluti meno di cinque minuti per dire di sì. Renzo Piano è un asset del mondo ma ha radici italiane. Proprio come il nostro gruppo: il concetto di creatività non può essere ghettizzato, costretto in un solo Paese. Ho pensato di proporre all’architetto Piano una collaborazione. Con nostra grande gioia, ha accettato».
I proventi della collaborazione andranno alla Fondazione Piano che finanzia stage di giovani architetti. Maramotti non chiama Renzo Piano senatore. «Perché mi sembra sia più rilevante chiamarlo architetto». E che cosa hanno imparato, lui e il suo team, dalla frequentazione con Piano e con l’architetto Elisabetta Trezzani, responsabile del progetto Whitney Museum? «La prima cosa che affascina è l’intelligenza e poi la grande disciplina, il rigore che le persone come Piano mettono nel fare le cose – risponde Maramotti – L’obiettivo non era vendere una borsa in più: siamo orgogliosi di celebrare il nuovo Whitney Museum con un oggetto che porta la firma di un grande talento italiano».
L’oggetto, come lo chiama il suo produttore, mercoledì sera era impugnato dalla bella moglie di Renzo Piano nel super cocktail che, sotto l’attenta regia del presidente della comunicazione Max Mara, Giorgio Guidotti, ha convogliato nel Meatpacking i più importanti donatori del Whitney e i giovani artisti amici di Maria Giulia Prezioso Maramotti, 31 anni, terza generazione, a New York con la responsabilità di seguire il retail. Gli Stati Uniti sono per Max Mara il quarto mercato dopo Europa, Cina e Giappone. Mercato in espansione. «Abbiamo appena aperto anche a Miami», racconta la giovane Maria Giulia.
DONAZIONI
Il colore prescelto per i primi duecentocinquanta esemplari numerati della Whitney Bag è grigio azzurro. Le impunture evocano, volendo, i tagli dei quadri di Fontana ma l’architetta Trezzani spiega che si ispirano invece alla facciata del nuovo museo. Da maggio la borsa sarà disponibile in tutti i negozi Max Mara, nei colori nero, bordeaux e cuoio, a un prezzo che l’azienda dice di aver volutamente, e d’accordo con lo studio Piano, mantenuto attorno ai mille euro. Perché gli americani investono nei musei e i ricchi italiani ancora no, o almeno non tanto? «In Italia il cittadino si aspetta che sia lo Stato a pensare all’arte, qui no. Per il Whitney sono stati raccolti 760 milioni di dollari. Anche in Italia, con la nuova legge voluta dal ministro Franceschini, si possono dedurre le donazioni, ma solo se doni allo Stato. Mi dicono che per ora sono stati raccolti solo circa trenta milioni di euro».
Gli imprenditori italiani, comunque «dovrebbero già essere contenti per aver superato il mar Rosso degli anni della crisi», aggiunge Maramotti virando sull’ottimismo. «Quando hai migliaia di dipendenti, ogni mattina entri in azienda al mattino e ti chiedi: se le cose non vanno bene che succederà a queste famiglie?».