Il Messaggero, 23 aprile 2015
Il Pianeta si scopre più attento agli alberi. Nella Giornata della Terra, i primi bilanci sulla deforestazione che diminuisce. Ma è ancora presto per cantare vittoria
È stata a lungo una strada segnata da continue sconfitte, ma negli ultimi anni la lotta per salvare il pianeta dalla deforestazione e dalle sue tragiche ricadute sul clima sta registrando qualche vittoria. Non è ancora il momento di stappare le bottiglie di champagne, ma è il momento di riconoscere che le pressioni dei movimenti ambientalisti, le leggi e gli accordi internazionali stanno ottenendo qualcosa. Ad esempio: la presenza di satelliti ad alta definizione ci ha rivelato che la perdita di foreste nel decennio 2000-2010 è stata maggiore di quanto non si credesse: almeno 6 milioni e mezzo di ettari all’anno. Ma è anche vero che il Paese che registrava il tasso di deforestazione più accelerato di tutti, il Brasile, è riuscito a realizzare riforme che da allora ne hanno rallentato il processo, riducendolo del 75 per cento rispetto a quel che era avvenuto fra il 1996 e il 2005. È vero che la palma da olio “ruba” spazio alle foreste tradizionali, con gravi effetti di inquinamento da fertilizzanti e pesticidi, ma è anche vero che i giganti dell’alimentazione Kellogg e McDonald’s si sono impegnati a eliminare progressivamente dalla propria catena di fornitura e distribuzione l’uso dell’olio di palma che provenga da foreste a rischio. Il loro esempio, riconoscono anche gli ambientalisti più severi, diventerà progressivamente lo standard a cui tutti i produttori alimentari che vogliano essere competitivi sul mercato mondiale dovranno adeguarsi.
EMERGENZE
Questo non vuol dire che la piaga della deforestazione sia sulla strada del tramonto. Se il mondo sta diventando più sensibile ai danni apportati dalla palma da olio, ancora non capisce quanto grave sia la continua richiesta di gomma naturale: dai ciucciotti dei bambini ai guanti sanitari, dai comodi materassi di lattice ai giocattoli, quella gomma viene da alberi che rubano terreno alle foreste tradizionali. Pochi ci pensavano, dopotutto nelle foto aeree, sembrano alberi come tutti gli altri. Nella realtà, l’albero della gomma scalza le foreste naturali, instaurando una produzione che non solo inquina perché va protetta con pesticidi e incentivata con fertilizzanti, ma impone una monocoltura che penalizza la biodiversità e quindi l’ecosistema. Peraltro, continua anche l’abbattimento delle foreste per far spazio all’agricoltura, e non solo nei Paesi dell’America Latina o del Sud Est asiatico, ma anche in luoghi non sospetti, ad esempio l’Iran, dove si teme che entro 75 anni non ci saranno più boschi rimasti, e l’erosione del suolo, una piaga storica del Paese, diventerà inarrestabile.
Le foreste sono il polmone del nostro pianeta. Ma servono anche a proteggere i terreni dall’erosione, a filtrare l’acqua, a dar vita a una fauna varia e complessa. Purtroppo l’Occidente nella sua storia si è comportato esattamente come certi Paesi in via di sviluppo stanno facendo oggi. Se l’Indonesia reagisce con irritazione alle pressioni perché smetta di abbattere foreste per coltivare la palma d’olio (che dà lavoro a 15 milioni di agricoltori), noi europei non dovremmo dimenticare che a nostra volta abbiamo distrutto le nostre foreste per riscaldarci, cucinare, fare spazio all’agricoltura, costruire navi, case e mobili. Nei suoi Annales, lo storico romano Tacito descrive l’Europa del primo secolo dopo Cristo come un’immensa terra coperta di fitte foreste. Oggi non ne sono rimasti che piccoli fazzoletti: l’Europa civile e moderna, che abbraccia l’ambientalismo e che ha festeggiato ieri il Giorno della Terra raramente fa il mea culpa sui propri errori, anche se risalenti a un passato lontano. E spesso questo atteggiamento indispone i Paesi ai quali chiediamo oggi di non abbattere i loro boschi e di proteggere le loro foreste.
INIZIATIVE
E tuttavia l’Occidente si muove, e gli sforzi di rimboschimento sono reali. In effetti ci sono aree del mondo dove il rimboschimento sta ottenendo di ovviare ai danni atmosferici causati dalla deforestazione del sud-America e del Sud Est asiatico: audaci iniziative di rimboschimento si sono avute sia in Australia che in alcuni paesi africani, per non parlare della Cina, che pur continuando a essere una grande inquinatrice sta abbracciando epici programmi ambientalisti. Ma si noti: i boschi che sorgono nella Savana africana, o nelle zone interne dell’Australia, o nelle province del Turkestan orientale e della Manciuria cinese, contribuiscono certo a diminuire l’effetto serra: sono alberi anche quelli e ci regalano ossigeno. Ma non possono rimediare alla perdita delle foreste pluviali, al loro complesso ecosistema che garantisce una fauna e una flora irripetibile altrove.