La Stampa, 23 aprile 2015
Lo Yemen può scivolare verso uno scenario simile a quello siriano dove le opposte fazioni alternano momenti di combattimento e di tregua nel tentativo di rafforzarsi tatticamente sul territorio. D’altra parte questo è il metodo con cui, dall’antichità, si combattono le tribù nel deserto
La guerra in Yemen fra sauditi e ribelli houthi è ripresa a neanche 24 ore dall’annuncio di Riad sulla sospensione dei raid. Il motivo è che «Ansar Allah», la milizia armata degli houthi, si è affrettata a cogliere l’opportunità dell’assenza di nemici nei cieli per assaltare e conquistare la guarigione militare di Taiz, fedele al deposto presidente Abdel Rabbo Mansour Hadi sostenuto dalla coalizione araba guidata da Riad. I comandi sauditi si sono sentiti beffati dal blitz houthi e il re Salman ha parlato di «promessa violata» autorizzando la ripresa degli attacchi aerei, a dispetto di quanto detto in precedenza sulla ricerca di una «soluzione di dialogo» come chiesto da Casa Bianca e Cremlino. Ma, al di là dell’episodio di Taiz, ciò che divide Riad dagli houthi è la formula per risolvere l’attuale crisi. L’Arabia Saudita vuole ottenere il rispetto della risoluzione Onu approvata il 14 aprile che impone ai ribelli houthi disarmo e ritiro da «tutti i territori catturati», incluse le città di Sanaa ed Aden, con il ritorno al potere di Mansour Hadi mentre «Ansar Allah» punta ad un «dialogo nazionale fra tutte le parti» destinato a legittimare le conquiste territoriali fatte. È una divergenza strategica resa più incandescente dal sospetto di Riad che l’impegno Usa per una «soluzione politica» nasca dalle nuove convergenze con l’Iran «protettore degli houthi». Anche perché i portavoci di Teheran adoperano un linguaggio identico a ribelli houthi e portavoci Usa. Da qui la possibilità che lo Yemen possa scivolare verso uno scenario simile a quello siriano dove le opposte fazioni alternano momenti di combattimento e di tregua nel tentativo di rafforzarsi tatticamente sul territorio. D’altra parte questo è il metodo con cui, dall’antichità, si combattono le tribù nel deserto: non vi sono campagne militari imponenti tese alla totale e rapida vittoria sull’avversario bensì una situazione di guerra permanente con i clan rivali, al fine di sfiancarli o dissanguarli anche attraverso periodi di tregua, per riuscire ad avere il sopravvento in un prossimo futuro, se non in questa generazione, certamente nella prossima. È proprio tale prospettiva che offre ad «Al Qaeda nella Penisola Arabica», espressione della centrale pakistana di Ayman al-Zawahiri, come a Isis la possibilità di creare una propria enclave nello Yemen del Sud, da dove minacciare tanto gli houthi che i sauditi.