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 2015  aprile 23 Giovedì calendario

Non è possibile impedire che uomini, donne e bambini continuino a fuggire dalla Siria, dall’Iraq, dal Sudan, dal Congo e dal Kenya. Combattere l’Isis, Boko Haram, Al Qaeda, Al Shabab e altre organizzazioni terroristiche del mondo musulmano, è indispensabile, ma tutti sanno che non potranno esservi vittorie decisive da un giorno all’altro. Sarà meglio non contare troppo sull’aiuto degli Stati Uniti

Spiace constatarlo, ma è stato necessario un altro dramma, il più grave dall’inizio del fenomeno, perché l’Europa cominciasse ad accorgersi che il Mediterraneo è una frontiera europea ed è il luogo in cui i morti, dall’inizio dell’anno, rappresentavano, prima dell’ultimo disastro, il 79% delle persone che nello stesso periodo hanno perso la vita cercando di attraversare una frontiera nell’intero pianeta.
È improbabile che il vertice di Bruxelles, voluto dall’Italia, riesca a sciogliere oggi tutti i nodi di una questione particolarmente intricata. Ma sarà più difficile d’ora in poi, per i Paesi che in questi ultimi mesi hanno dato prova di una sconcertante indolenza, voltare le spalle a una questione che non concerne soltanto l’Italia e la Grecia. L’ultima tragedia sembra avere risvegliato le coscienze, aguzzato gli ingegni, reso possibile la convergenza tra le forze politiche italiane e meglio chiarito, per tutti gli europei, i termini della questione.
Non è possibile impedire che uomini, donne e bambini continuino a fuggire dalla Siria, dall’Iraq, dal Sudan, dal Congo e dal Kenya, dove il governo si prepara a chiudere un campo che ha ospitato sinora mezzo milione di somali. Combattere l’Isis, Boko Haram, Al Qaeda, Al Shabab e altre organizzazioni terroristiche del mondo musulmano, è indispensabile, ma tutti sanno che non potranno esservi vittorie decisive da un giorno all’altro. È stato proposto che i Paesi dell’Ue aprano speciali uffici consolari in alcuni Stati arabi per esaminare sul posto le domande d’asilo e concedere visti umanitari.
È una buona idea, promossa, tra gli altri, dalla Comunità di Sant’Egidio e, nel Senato italiano, da Luigi Manconi. Ma non potrà funzionare se ogni Paese europeo non accetterà di impegnarsi pubblicamente sul numero delle persone che è pronto ad accogliere. Non può esservi alcuna soluzione se i Paesi dell’Ue non riconosceranno che a questa emergenza occorre reagire con la stessa disponibilità e generosità con cui ciascuno di essi risponde alle proprie catastrofi nazionali.
I visti umanitari non saranno sufficienti e vi saranno sempre persone pronte a rischiare la vita per tentare l’attraversamento del Mediterraneo. Occorre quindi distruggere le barche là dove sono all’àncora, in attesa dei loro carichi umani. Ma queste sono operazioni militari e d’intelligence che possono essere realizzate soltanto con la collaborazione delle autorità locali. Quella della Libia è indispensabile, e non è escluso che sarà necessario, prima o dopo, forzare la mano di coloro che non vorranno collaborare. Piaccia o no la Libia, oggi, è la quarta sponda dell’intera Unione Europa.
Sarà meglio, invece, non contare troppo sull’aiuto degli Stati Uniti. Obama ha deciso di trattare la questione mediterranea con gli stessi criteri con cui molti Paesi dell’eurozona hanno trattato la crisi greca: quanto meno la si aiuta tanto più la si costringe a rimboccarsi le maniche. Questo atteggiamento non dovrebbe dispiacerci. Come la crisi del credito, anche quella dei barconi dovrebbe costringere l’Europa ad affrontare il problema dei profughi non soltanto con uno sforzo finanziario condiviso, ma anche con strumenti unitari. Se la crisi finanziaria ci ha regalato l’Unione bancaria e il meccanismo salva Stati, perché la crisi dei profughi e dei barconi non dovrebbe regalarci una Legione europea, pronta a intervenire là dove la frontiera di Schengen richiede operazioni comuni? È l’unità, in ultima analisi, il mezzo più efficace e persuasivo per affrontare questa emergenza umanitaria. Un’azione comune può essere, per gli scafisti, il migliore dei deterrenti.
Gli stessi criteri valgono per l’Italia. Se Silvio Berlusconi è veramente disposto a sostenere la politica del governo in questa crisi, benvenuto. Vi sono momenti in cui è necessario litigare e ve ne sono altri in cui una nazione esiste soltanto se le sue maggiori forze politiche riconoscono l’esistenza di interessi comuni, più importanti delle loro diverse ambizioni. Una politica condivisa, in questo caso, presenterebbe molti vantaggi: renderebbe più incisiva l’azione del governo, isolerebbe il populismo xenofobo della Lega e le divagazioni opportuniste del M5S, dimostrerebbe che gli odiosi insulti alle vittime, raccolti da Gian Antonio Stella sul web per il Corriere del 21 aprile, non sono la voce dell’Italia.