la Repubblica, 22 aprile 2015
Authority, la tassa occulta sulle imprese: fino al 20% di rincaro dei contributi
Certezza del diritto per chi gestisce un’attività economica, prevedibilità delle regole e dell’imposizione fiscale, apertura agli investitori esteri. Se questi sono obiettivi che il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan non si stancano mai di sottolineare, evidentemente lo Stato è qualcosa di più complesso e articolato del governo. Il primo e il secondo certe volte sembrano muoversi in direzioni opposte.
Se l’esecutivo cerca di togliere dal peso delle tasse e promette di stabilizzare le regole del gioco, si può sempre scommettere su altri centri di potere che facciano il contrario: più tasse, imposte retroattive, nuovi balzelli alle imprese (anche) estere su basi fiscali ancora da determinare, pressione fiscale ogni anno diversa o diversa per aziende che svolgono la stessa attività in concorrenza le une con le altre. Tasse di diverse entità sugli stessi soggetti.
Tutto questo succede nel mondo delle autorità, nel quale la continua trasformazione degli arbitri del mercato sta iniziando a colpire i regolati con tributi sempre meno prevedibili.
La giungla dei balzelli dei regolatori è ormai così intricata che alcuni soggetti, le imprese vigilate, spesso presentano ricorso ai tribunali amministrativi e in certi casi si rifiutano semplicemente di pagare. Si fanno la propria giustizia (fiscale) da sé. Altre volte i regolatori danno l’impressione di reclamare certe cifre, magari senza argomenti davvero blindati, solo nella speranza in incassarne almeno una frazione.
Com’è noto molte authority sono obbligate all’«autofinanziamento», ossia a funzionare sulla base di un imposizione a carico delle imprese da esse regolate. È il caso dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato per circa il 20% del suo bilancio, ma anche dell’Autorità per le Comunicazioni per circa il 90% e della neonata Autorità dei trasporti (Art) per quasi tutte le sue spese. Non è mai un compito facile. Osservava un rapporto di Assonime del 2011: «Tra il 2002 e il 2010, per alcune autorità sono stati registrati aumenti delle spese annue correnti e del personale in misura superiore al 50%». Eppure, si legge, «queste variazioni non appaiono sempre riconducibili a nuove funzioni».
C’è dunque chi oggi cerca di adeguarsi alla nuova linea di sobrietà, come l’Antitrust guidata da Giuseppe Pitruzzella: di recente ha diminuito dallo 0,08 allo 0,06 per mille del fatturato il contributo richiesto alle imprese vigilate e ha ridotto il parco auto da 8 a 3 vetture.
Altri si muovono in direzione opposta. E a volte lo fanno più solo perché l’intero sistema della tassazione parallela della authority galleggia nell’incertezza del diritto. È il caso dell’Autorità garante delle Comunicazioni (Ag-Com), presieduta da Angelo Cardani, che con una delibera di un paio di mesi fa ha messo a segno il più spiacevole dei colpi: l’aumento delle imposte retroattivo sui «soggetti obbligati». A valere da subito la contribuzione sulle imprese regolate (colossi del mercato come Telecom Italia, Vodafone o Wind) viene riaggiustata allo 0,55 per mille del fatturato di due anni prima per il 2012, allo 0,56 per il 2013 e allo 0,68 per il 2014. È un aumento dell’imposizione fiscale del 23,6% in tre anni, e soprattutto retroattivo. Il contrario di ciò che servirebbe per dare certezza alle imprese e creare un ambiente accogliente per chi investe dall’estero. Com’è possibile? Per un solo motivo: a fronte di spese per 74 milioni di euro l’anno, l’Ag- Com ha perso un ricorso per precedenti balzelli dalle stesse imprese sugli anni scorsi. Dunque è tornata alla carica.
Controverso anche il caso della neonata Autorità dei Trasporti, un bilancio di 24 milioni, 50 addetti e quattro dirigenti sul tetto massimo di retribuzione degli statali a 240 mila euro l’anno. L’anno scorso le società dell’autotrasporto su gomma si sono semplicemente rifiutate di pagare il balzello, convinte di non essere soggette anche a quella autorità. In rivolta anche i gruppi della logistica come DHL, Fedex, o UPS. Poiché viaggiano per trasportare i pacchi della clientela, devono pagare: eppure Poste Italiane non è soggetta alla stessa tassa della Art quando fa loro concorrenza. E che dire delle società di crociere? Il gruppo Costa paga (anche) questa autorità perché attracca in porti Italia, benché in realtà si occupi più di turismo che di trasporti. Ma la sua concorrente estera MSC Crociere per ora è invece esente. Di qui lite, ricorsi, rivolte, profumate parcelle di avvocati eccellenti. Ma da quest’anno la neonata autorità metterà tutti d’accordo: allarga la base imponibile in modo che siano più numerose le imprese soggette al suo balzello.