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 2015  aprile 22 Mercoledì calendario

È cominciata la fase finale del processo a Dzhokhar Tsarnaev, il 21enne terrorista di origine cecena che il 15 aprile del 2013 assieme al fratello Tamerlan seminò morte e panico alla maratona di Boston. Si concluderà con una condanna a morte oppure all’ergastolo

Un dito alzato verso la telecamera di sicurezza, il medio, in un gesto di estrema sfida e disprezzo. È l’immagine che la pubblica accusa ha scelto per descrivere Dzhokhar Tsarnaev, il 21enne terrorista di origine cecena che il 15 aprile del 2013 assieme al fratello Tamerlan seminò morte e panico alla maratona di Boston. Con questa immagine presentata alla giuria, ripresa in cella tre mesi dopo l’attentato, è cominciata la fase finale di un processo che si concluderà con una condanna a morte oppure all’ergastolo. Un procedimento che dovrebbe durare quattro settimane, puntuato dalle tragiche testimonianze delle famiglie delle vittime e da un intenso dibattito sulla pena capitale.
La prima fase, che ha deciso l’inoppugnabile colpevolezza di Dzhokhar, è ormai archiviata: nessuna reale difesa, Tsarnaev è responsabile di tutti i 30 reati che gli erano stati imputati per aver ucciso tre persone, compreso un bambino di otto anni, e mutilato altre 260 all’affollato traguardo della corsa. E per aver ammazzato a sangue freddo un agente della dell’Università Mit pochi giorni dopo, durante un fallito tentativo di fuga che lasciò suo fratello morto sul selciato.
«Questo è Dzhokhar Tsarnaev – ha detto Nadine Pellegrini, il procuratore al quale è stata affidata la requisitoria iniziale, indicando il gesto volgare del giovane terrorista -. Non ha rimorsi, non è pentito, non è cambiato. Ha voluto inviare un ultimo messaggio». Pellegrini ha poi mostrato le foto delle vittime, le cui famiglie chiamerà a testimoniare nei prossimi giorni per raccontare una violenza «insopportabile, indescrivibile, ingiustificabile e senza senso». La prima testimonianza, ieri, è stata di Celeste Corcoran, che nell’esplosione ha perso le gambe: «Ricordo le urla e il sangue ovunque, come cadesse dal cielo».
Un massacro efferato che, per la pubblica accusa, legittima la condanna a morte. Una decisione che però richiede l’unanimità dei dodici giurati, altrimenti è l’ergastolo. E proprio tra le famiglie della vittime dell’attentato è oggi aperto il dibattito forse più lacerante. I genitori della più piccola fra le vittime, Martin Richard di 8 anni, hanno pubblicato una lettera aperta sulle pagine del quotidiano Boston Globe con la quale hanno chiesto ai procuratori di rinunciare alla pena di morte.
Non sono stati i soli: una giovane coppia appena sposata – Jessica Kensky e Patrick Downes – entrambi gravemente feriti dall’esplosione delle bombe fatte in casa dei due fratelli – ha a sua volta auspicato la condanna a vita «per far sparire Tsarnaev dalle nostre coscienze il più presto possibile».
Gli avvocati della difesa, da parte loro, intendono sostenere che Dzhokhar, che aveva 19 anni al momento dell’attentato, era succube del fratello maggiore Tamerlan, convertitosi all’estremismo islamico. Una tesi che Pellegrini ha respinto fin dalle prime battute della nuova fase processuale: Dzhokhar, agli occhi della procura, ha dimostrato di essere un partner cosciente della missione omicida che ha devastato Boston e riportato il Paese, per un lungo e terribile attimo, ai giorni bui dell’11 settembre 2001.