il Fatto Quotidiano, 22 aprile 2015
La battaglia di Tito. Da quando ha preso in mano l’Inps, Boeri non si è fermato un attimo rivendicando il diritto di fare proposte. A farne le spese, per il momento, è sembrato essere l’inquilino di via Veneto 56, il ministro del Lavoro Poletti che finora non sembra toccare palla
Dal 10 febbraio, giorno in cui il Consiglio dei ministri ha approvato la sua nomina a presidente dell’Inps, l’agenzia Ansa ha battuto 140 lanci con il nome di Tito Boeri. Basterebbe questo a segnalare il protagonismo dell’autore de lavoce.inps, come Il Fatto ha ribattezzato l’economista voluto da Matteo Renzi alla testa di un istituto che amministra i destini di circa 38 milioni di persone, tra contribuenti e pensionati.
Da quando ha preso in mano l’Inps, Boeri non si è fermato un attimo. Ha subito messo in mostra la dote più preziosa del suo istituto, i dati, fornendone a getto continuo e costruendo un bombardamento mediatico molto efficace. A farne le spese, per il momento, è sembrato essere l’inquilino di via Veneto 56, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Finora. Tanto che la definizione di “ministro traballante” circola ampiamente a Montecitorio – “finora non sembra toccare palla” dice un autorevole esponente del Pd – anche se nessuno scommette su rivolgimenti del governo a breve. Quello che è certo è che nelle stanze di via Veneto si respira molto nervosismo. A bruciare di più, la sconfessione, fatta dall’Inps sul presunto aumento dell’occupazione determinato dal Jobs Act. Fino ai giorni scorsi quando Poletti nel corso di un’interrogazione parlamentare ha ribadito l’iniziativa “compete al governo e al Parlamento”.
“Rivendico il diritto di poter fare delle proposte” ha puntualizzato Boeri, “non è certamente un modo di violare le regole della democrazia, come qualcuno ha sostenuto.
Quel qualcuno è Renato Brunetta, altrettanto esuberante capogruppo di Forza Italia, l’unico a far circolare apertamente l’illazione di un’ambizione ministeriale per il presidente dell’Inps. Ma Boeri, nei giorni scorsi, ha dovuto leggere anche un duro editoriale del Corriere della Serache lo invitava a stare di più al suo posto.
Il fatto è che Boeri sembra applicare alla lettera, anche se con più competenza, lo stile della rottamazione utilizzato da Renzi. E dal 10 febbraio ha inondato il compassato Poletti di proposte, dichiarazioni, iniziative. Prima, ha affermato che l’Inps sarebbe stato “un salvadanaio di vetro” incaricato di “recuperare quel rapporto diretto col cittadino che l’Istituto talvolta sembra aver perso”. Da lì, è partita una campagna basata sulla trasparenza dei vari fondi previdenziali mettendo in risalto (ad esempio il fondo Volo) i pesanti squilibri tra i contributi versati e le pensioni percepite.
Poi, è stata presentata a un pool di giornalisti, scelti con cura, l’operazione “busta arancione”, il prospetto previsionale della pensione futura. Una modalità giudicata da Gianpaolo Patta, membro della Commissione di Vigilanza dell’Inps, “poco attendibile” perché è impossibile prefigurare oggi la pensione che si prenderà tra trent’anni. “Rischia di sembrare, anche non volendo, un’operazione di propaganda per le pensioni integrative”. Infine, la trappola dei dati sull’occupazione.
“Tra il primo ed il 20 febbraio sono state 76 mila le imprese che hanno fatto richiesta di decontribuzione per assunzioni a tempo indeterminato” dichiara Boeri il 16 marzo. Poletti ci si attacca con forza, Renzi pretende dati ancora più precisi. I giornali amici gonfiano la notizia e tutti pensano che davvero in Italia si sia tornati ad assumere. Poi, la doccia fredda. Il 10 aprile l’Inps comunica dei nuovi dati in un inedito “Osservatorio sulla precarietà” che rappresenta uno schiaffo al ministro e al governo: nel periodo gennaio-febbraio 2015 sono stati creati 968,883 posti di lavoro contro i 968,870 dell’analogo bimestre 2014. Ben 13 posti di lavoro in più. Una burla. Poletti ci rimane male ma deve ammettere il dato. La freddezza tra i due è ormai conclamata e si esplicita chiaramente durante l’interrogazione del 15 aprile.
Qui viene fuori un nodo che potrebbe essere quello decisivo. Boeri, infatti, ancora lunedì scorso, continua a battere il tasto della sua “proposta” di fondo: rivedere le modalità di calcolo delle pensioni in essere (con il contributivo integrale al posto del retributivo) permetterebbe di ricavare risorse in grado di dare assistenza alla fascia d’età tra i 55 e i 65 anni che versa in condizioni di disagio. “Una proposta che non mi piace” spiega al Fatto, il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, “perché offre assistenza invece del diritto alla pensione”. Boeri però ci tiene e la mutua dall’analoga proposta da lui avanzata nel 2014 sul sito lavoce.info con la quale puntava a decurtare del 20% le pensioni superiori a 2.000 euro per ricavare tra i 3 e i 4 miliardi da destinare all’assistenza. Nel corso dell’interrogazione, Poletti prende le distanza da questa impostazione dichiarando, appositamente, che il governo “non vuole tagliare le pensioni sopra i 2000 euro”, inchiodando così Boeri alla sua vecchia iniziativa. Che, come conferma lo Spi-Cgil, che pure apprezza l’impegno di pagare le pensioni il primo del mese, “sta spaventando molti pensionati”. In realtà, negli ultimi giorni il presidente dell’Inps va ripetendo ai vari interlocutori che quella era una proposta da studioso e che oggi le sue idee sono diverse. Non a caso, ora ipotizza di recuperare “solo” 1,5 miliardi per l’assistenza agli ultra-cinquantenni in difficoltà. Ieri Poletti è però tornato sull’argomento dicendosi convinto che “il problema socialmente più rilevante è quello di chi ha perso il lavoro. Poi possiamo allargare la platea ma il tema su cui ci applichiamo riguarda tutte le persone che hanno perso il lavoro”. Nessuna centralità per gli over 55 anni e nessuna voglia di toccare diritti acquisiti. Scontro aperto dunque anche se Boeri ha abbassato i toni.
La sua naturale propensione all’apparire, però, non si fermerà. A giugno presenterà una iniziativa organica dell’Inps continuando a forzare la propria funzione estasiando chi apprezza l’iniziativa e scontentando chi lo vorrebbe “al suo posto”. Intanto, confida nel silenzio prolungato di Matteo Renzi che non vuole toccare le pensioni (dove ha un bel bacino elettorale) ma nemmeno richiamarlo all’ordine. Boeri, del resto, insieme al magistrato Raffaele Cantone o all’ex ad di Luxottica, Alessandro Guerra, rappresenta una delle figure del “rinnovamento” renziano. Un sorta di “Tito e i suoi fratelli” che prefigura una classe dirigente con l’ansia da prestazione del governo Renzi come nume tutelare.