la Repubblica, 22 aprile 2015
Alla ricerca della batteria che non si esaurisce. È l’elisir del millennio. È partita la corsa nei laboratori segreti della Silicon Valley. Il premio è un business da 50 miliardi di dollari e la fine dell’egemonia del petrolio
Il mondo nuovo è qui, dietro l’angolo: fiumane di auto elettriche, computer da polso, telefonini inestinguibili, il sole in casa e niente petrolio. È tutto pronto. Per accendersi, a questo mondo-meraviglia manca solo una cosa: una piletta. E qui è il problema: non abbiamo la batteria. Abbiamo pallidi surrogati: pile vecchie, pesanti, inefficienti, costose, effimere, inadeguate. Pensate a quante volte dovete ricaricare il cellulare o quanto (non) pesa il pc se togliete la batteria o l’emergenza internazionale che ha creato l’ultima eclisse di sole. Soprattutto, le pile che abbiamo equivalgono alla fiamma di uno zolfanello, dove occorrerebbe una raffica di kilowatt. La batteria, insomma, dicono gli esperti, è la più importante strozzatura nel cammino della tecnologia oggi. Ecco perché, sotto traccia, all’inseguimento della pila di domani è partita una delle più entusiasmanti corse dell’high-tech. Il premio è un business da 50 miliardi di dollari alla partenza, subito pronto a moltiplicarsi a cascata. Ma il premio vero è una ferma presa sulla leva delle tecnologie di domani. È la caccia del secolo. Fino a ieri, i giganti del settore lasciavano volentieri che delle pile si occupasse qualcun altro: qualcosa che si aggiungeva alla fine, senza crucciarsene troppo. Adesso che hanno capito cosa c’è in ballo, si sono lanciati in prima persona, strappandosi brevetti e scienziati: Apple, Google, l’Elon Musk della Tesla, Bill Gates, la Samsung, i grandi nomi del venture capital di Silicon Valley.
LA batteria è la cenerentola delle nostre rivoluzioni industriali. Le ricaricabili c’erano già un secolo e mezzo fa e, anche se le pile attuali sono al litio, i principi che le regolano sono noti, ormai, da decenni. Il risultato è che la potenza delle batterie è aumentata di 8 volte in 150 anni. Il microchip del computer aumenta della stessa potenza ogni sei anni. Insomma, le pile di oggi sono una zavorra che impiomba lo sviluppo del nostro crescente arsenale digitale. Ma compromette anche qualcosa di molto più importante, che gli ecologisti più determinati non esiterebbero a definire “la salvezza del mondo da se stesso”: la fine dell’egemonia del petrolio e dei combustibili fossili, il freno all’effetto serra e alle catastrofi del riscaldamento globale. Batterie più leggere significano auto elettriche meno costose e con maggiore autonomia: addio alle pompe di benzina. Batterie più affidabili e potenti vogliono dire la possibilità di immagazzinare l’energia prodotta da pannelli solari e pale eoliche, per fornirla quando non c’è il sole o non soffia il vento, mandando in soffitta centrali a gas e a carbone. Ancor prima dell’altro millennio, alla corte di Harun al-Rashid, l’alchimista persiano Jabir almanaccava di un elisir, una polvere magica che, secoli dopo, in Europa avremmo chiamato pietra filosofale. Uno strumento artificiale per risolvere tutti i problemi, perché avrebbe trasformato i metalli in oro. Spiccioli, rispetto a quello che potrebbe fare la pietra filosofale del nostro millennio, uno strumento artificiale per risolvere (quasi) tutti i problemi perché consente di tesaurizzare qualcosa di molto più prezioso, oggi, dell’oro: l’energia. Come per la pietra filosofale, anche la corsa alla nuova batteria si svolge in laboratori appartati, i risultati sono circondati dal segreto, la scoperta decisiva è sempre annunciata per domani e tutti vogliono metterci le mani. C’è chi punta a batterie minuscole e chi a pile enormi. Ma, dato che quello che conta sono i principi scientifici, trasferibili dalle une alle altre, i corridori sono, in realtà, tutti sulla stessa pista.
La Apple ha messo finora a segno un progresso incrementale, ma significativo. Per il nuovo Mac-Book supersottile, l’azienda di Cupertino ha annunciato, il mese scorso, una batteria dal design rivoluzionario. I normali strati in cui è suddivisa la batteria al litio possono essere, infatti, tagliati e riconfigurati a piacere, consentendo agli ingegneri di piazzare la batteria in una collocazione predefinita e, soprattutto, di estrarne circa il 35 per cento di capacità in più. A Mountain View, invece, si guardano bene dal fare annunci. Il team che si occupa di batterie è guidato da un transfuga della Apple, ed è composto in tutto da quattro persone, all’interno del famoso Google X Research Lab.
Tutto quello che si sa è che ci sono almeno 20 progetti intorno alle batterie, in casa Google. Si va da quelle che dovrebbero alimentare le auto che si guidano da sole alle pile a pellicola da utilizzare per i Google Glass, gli smartphone e per i vari aggeggi a cui pensano a Mountain View nel settore “indossabili”.
Bill Gates pensa più in grande. Con il solare e l’eolico che, ormai, coprono un terzo e più della nuova capacità produttiva che viene aggiunta, ogni anno, al bilancio mondiale dell’energia, chi riuscisse a risolvere il problema della loro intermittenza avrebbe fatto tombola. Così, Gates ha cominciato a finanziare la Ambri, cioè una pila di cui, ovviamente, non si sa nulla, tranne che utilizza due metalli non meglio identificati, per megabatterie del peso di 10 tonnellate l’una, capaci di produrre 200 kilowattora, quanto una minicentrale. Una serie di prototipi sta per essere sperimentata in centrali solari ed eoliche delle Hawaii. Un esperimento parallelo faranno, sempre alle Hawaii, le batterie realizzate dalla Aquion, un’azienda finanziata da Kleiner, Perkins, Caufield & Byers, forse i più famosi venture capitalist di Silicon Valley. Le batterie Aquion, che funzionano a sodio e sono un po’ più grandi di una lavatrice, hanno una capacità di 28,6 kwh e possono immagazzinare e redistribuire l’energia, prodotta dai pannelli solari, per otto ore.
Per Elon Musk, il boss della Tesla, il problema, invece, sono naturalmente le auto. Con la Panasonic ha investito 5 miliardi di dollari per una fabbrica che produrrà batterie al litio, per quanto si sa, tradizionali, ma in numero tale (mezzo milione l’anno) da abbatterne i costi di un terzo. La Samsung spera di andare anche più in là con le batterie a polimeri di litio della Seeo, grandi come una valigia e capaci di immagazzinare fra il doppio e il triplo dell’energia di una normale batteria al litio. Quanto basta per assicurare ad un’auto un’autonomia di qualche centinaio di chilometri.
Se per il suo elisir, Jabir puntava sulla numerologia, anche in questa corsa alla superbatteria c’è un numero magico: 300. La magia riguarda i dollari. Il parametro chiave delle batterie è, infatti, la quantità di kwh che possono immagazzinare. Più sono i kilowattora, più lontano può andare un’auto elettrica. Minore il costo della batteria per kwh, minore il costo dell’auto. Negli ultimi anni, il costo delle batterie è crollato da mille a 400 dollari per kwh. Secondo la Iea, tuttavia, per diventare competitive con benzina e gasolio, le batterie devono scendere almeno a 300 dollari per kwh. Ecco perché, rispetto ai 400 dollari di costo attuale, sono così importanti i risparmi del 30-35 per cento realizzati o promessi da Apple, Google, Tesla e quelli fatti intravedere da Ambri e Aquion. I 300 dollari per kwh sarebbero, dunque, già a portata di mano. O, forse, superati. Il mese scorso, uno studio di Nature prevedeva un traguardo di 230 dollari per kwh fra il 2017 e il 2018. Se è vero, la corsa è arrivata all’ultima curva.