La Stampa, 22 aprile 2015
Il 24 aprile di un quarto di secolo fa la visione dell’Universo era diversa da oggi. «Non si sapeva che stava accelerando, mentre gli altri sistemi solari esistevano solo nei pensieri di qualche visionario e Plutone era ancora considerato un pianeta», ha detto l’astronomo americano Howard Bond. Poi quel giorno del 1990 si è acceso «Hubble», il telescopio spaziale della Nasa, e tutto è cambiato
Il 24 aprile di un quarto di secolo fa la visione dell’Universo era diversa da oggi. Non solo in senso figurato. «Non si sapeva che stava accelerando, mentre gli altri sistemi solari esistevano solo nei pensieri di qualche visionario e Plutone era ancora considerato un pianeta», ha detto l’astronomo americano Howard Bond. Poi quel giorno del 1990 si è acceso «Hubble», il telescopio spaziale della Nasa, e tutto è cambiato.
Abbiamo visto come nasce una stella, osservato i rimasugli di una supernova, scoperto che al centro di ogni maxi-galassia giganteggia un buco nero. E la scia delle immagini ha generato effetti inattesi: quel concentrato di informazioni scientifiche è diventato un fenomeno di voyeurismo astronomico collettivo. Le straordinarie istantanee di luoghi sempre più lontani, fino a 13 miliardi di anni fa, hanno entusiasmato anche chi non ha familiarità con la frontiera spalancata al di là dell’atmosfera.
Molte foto sono diventate icone, come la più celebre, non a caso battezzata «I Pilastri della Creazione». Le tre colonne di gas interstellare e polveri nella Nebulosa Aquila svettano con colori squillanti, dall’impatto tridimensionale, esempio di una metamorfosi, sia intellettuale sia visiva.
Nessuna missione spaziale recente ha generato tanta attenzione e perfino una forma di coinvolgimento emotivo. Come nel 2009, quando fu mobilitato lo shuttle «Atlantis» per quella che era considerata l’ultima riparazione prima della dismissione. E invece «Hubble» continua a funzionare e si prevede che festeggerà i 30 anni. Poi scivolerà dall’orbita e si brucerà nell’atmosfera, in un ultimo show. Ma per allora sarà operativo il successore, il «James Webb Telescope»: il suo occhio all’infrarosso indagherà il cosmo più remoto. Con immagini iper-sofisticate. Purtroppo, però, non altrettanto mediatiche.