La Stampa, 22 aprile 2015
Da ieri il «contabile di Auschwitz», il 93enne Oskar Groening, l’uomo che smistava gli ori, i gioielli, i soldi, le ricchezze dei condannati a morte all’ingresso del campo di sterminio, è sotto processo a Lueneburg. Se non ha ucciso materialmente nessuno, è comunque responsabile di aver contribuito alla morte di almeno 300 mila persone, secondo la procura di Hannover
Anni fa diede un’intervista in cui si definiva «una rotellina nell’ingranaggio». Banale citare la banalità del male. Da ieri il «contabile di Auschwitz», il 93enne Oskar Groening, l’uomo che smistava gli ori, i gioielli, i soldi, le ricchezze dei condannati a morte all’ingresso del campo di sterminio, è sotto processo a Lueneburg. Se non ha ucciso materialmente nessuno, è comunque responsabile di aver contribuito alla morte di almeno 300 mila persone, secondo la procura di Hannover. Con la sua attività, depredando i prigionieri delle ultime ricchezze che si portavano dietro, spesso le più preziose, perché quando i nazisti li andavano a prendere a casa si raccomandavano di portarsi appresso soprattutto quelle, ha contribuito anche lui a mantenere in piedi la macchina dello sterminio di Hitler.
Rischia fino a tre anni
I magistrati concentrano l’accusa all’estate del 1944, quando nella cosiddetta «Azione Ungheria» furono sterminate, appunto 300 mila persone. Per quello che si annuncia come uno degli ultimi grandi processi ai boia dei campi nazisti e che si avvale di sessanta testimoni, tra cui alcuni sopravvissuti e i loro discendenti, Groening rischia fino a tre anni di carcere. Dal 2011 non è necessario che si dimostri una diretta partecipazione alle uccisioni: per la giustizia tedesca è sufficiente aver lavorato come cuoco o guardiano in un campo per rischiare l’accusa di concorso in omicidio.
Al processo, che continuerà fino all’estate, Groening si è presentato in sedia a rotelle e ha dichiarato di ritenersi «moralmente corresponsabile» delle atrocità di Auschwitz. Ha ammesso di aver saputo subito, appena giunto nel campo polacco, che si stessero gasando miriadi di ebrei. «Mi dispiace», ha detto. Ed ha aggiunto che «sulla mia responsabilità legale giudicherete voi».
Il «contabile di Auschwitz» ha poi letto una dichiarazione in aula, per ricostruire il suo arrivo al campo, l’attribuzione dei compiti. Ma ogni tanto ha abbandonato il foglio e ha ricordato a braccio. Dettagli atroci. La prima volta che gli affidarono le valigie di ebrei appena arrivati al campo sentì dei vagiti provenire da una delle borse. Un SS si avvicinò, scoprì che si trattava di un neonato e lo scaraventò contro un camion. Il bambino smise di piangere. E Groening chiese il trasferimento al fronte, che gli fu rifiutato una prima volta.
La seconda volta che chiese di essere trasferito fu quando, alla ricerca di prigionieri scappati, passò davanti a una fattoria che era stata trasformata in una camera a gas e sentì le urla delle vittime che diventavano sempre più deboli. Anche quella volta, i suoi capi lo costrinsero a restare, sostiene. A margine del processo, una sopravvissuta americana, Eva Kor, ha detto che Groening «si sarebbe potuto nascondere nell’ombra come tanti nazisti. Pochi hanno avuto il coraggio di farsi avanti. Non si può cambiare il passato, ma ci si può assumere la propria responsabilità».
In incognita
Un giudizio generoso, da parte di una vittima delle atrocità naziste. Dopo la guerra, Groening si è goduto per quarant’anni una tranquilla vita borghese con moglie e figli nella Luneburger Heide. Soltanto negli Anni 80 è uscito allo scoperto rivelando la sua vera identità. E per il processo ci sono voluti altri trent’anni.