Corriere della Sera, 22 aprile 2015
Come fermare gli sbarchi? I due canali della diplomazia: quello che porta all’Onu per ottenere il via libera alle operazioni di polizia internazionale e quello più rapido dei blitz marittimi delegati agli stessi comandanti dei mezzi che effettuano il soccorso. La direzione antimafia ha già previsto l’immersione delle imbarcazioni sotto le 500 tonnellate ma nel 2014 su 1.161 barconi solo 109 sono stati sequestrati e 150 affondati
Pescherecci in disuso comprati in Tunisia e utilizzati per decine di traversate con a bordo centinaia di migranti. Gommoni recuperati in Libia o negli altri Paesi del Nordafrica, stipati con uomini, donne e bambini disperati. Li pagano poche migliaia di euro, li sfruttano per guadagnarne centinaia di migliaia. Per questo motivo la distruzione dei mezzi dei trafficanti di uomini viene ritenuta necessaria per indebolire l’organizzazione e tentare di stroncare l’attività criminale. In vista del vertice dei capi di Stato e di governo convocato per domani a Bruxelles, gli esperti mettono a punto i possibili piani di intervento, individuano i bersagli e le strategie. Partendo da una considerazione: bisogna agire in mare, ma si devono colpire anche le postazioni di terra con un’attenzione primaria a Misurata, diventata uno dei centri strategici degli scafisti. La diplomazia segue un doppio canale: quello che porta all’Onu per ottenere il via libera alle operazioni di polizia internazionale e quello più rapido di blitz marittimi delegati agli stessi comandanti dei mezzi che effettuano il soccorso. Anche perché sono i dati della Direzione Immigrazione della polizia italiana a dimostrare come soltanto una volta su quattro si riesca a distruggere o sequestrare il barcone, mentre in centinaia di casi i trafficanti sono riusciti a fuggire e lo hanno poi reimpiegato per altri viaggi. Una situazione creata anche dall’opposizione netta del ministero dell’Ambiente che, nonostante le sollecitazioni del Viminale, ha dato parere negativo alla distruzione per i rischi di inquinamento.
Solo 259 imbarcazioni
L’osservatorio privilegiato degli investigatori fornisce un quadro preciso. Si scopre così che tra il 1 gennaio 2014 e il 15 febbraio 2015 ci sono stati «1.161 eventi di immigrazione illegale», ma soltanto «109 imbarcazioni sono state sequestrate e 150 affondate». Eppure le indicazioni degli esperti della polizia di frontiera «erano ben chiare» tanto che già nel luglio 2014 d’accordo con i magistrati della Direzione Nazionale Antimafia avevano messo a punto una norma da inserire nel provvedimento di rifinanziamento delle missioni internazionali per delegare al comandante dell’unità navale di soccorso e salvataggio degli stranieri «l’immersione delle imbarcazioni inferiori alle 500 tonnellate di stazza utilizzate per il trasporto dei migranti». La relazione degli investigatori era esplicita nell’evidenziare il «costante riutilizzo delle imbarcazioni da parte degli scafisti e l’impossibilità, per evitare ciò, di effettuare il rimorchio a terra a causa delle grandi distanze e delle criticità dovute alla presenza dei migranti».
Le strisce colorate
Sono proprio i dati a fornire la prova del reimpiego dei mezzi. Ben 80 viaggi sono stati effettuati «con peschereccio blu con striscia longitudinale bianca lungo la fiancata» e altri 45 con «peschereccio blu con striscia longitudinale rossa» e – sottolineano gli esperti – «poiché i pescherecci non escono in serie da una fabbrica si può presumere che fossero sempre gli stessi». Non solo. In decine di altri casi il mezzo degli scafisti era stato «contrassegnato in occasione del primo soccorso» e quel segno distintivo è stato poi notato durante altri salvataggi. La soluzione di cui si discute in queste ore riporta dunque all’obbligo dei soccorritori di tagliare i gommoni e utilizzare piccole cariche esplosive per mandare a fondo i pescherecci. Atti di una strategia più ampia che prevede anche «azioni mirate» nei porti così come sollecitato lunedì in Lussemburgo dalla Gran Bretagna appoggiata da numerosi altri Stati.
I blitz sulla costa
L’azione militare non viene esclusa e potrebbe prevedere l’utilizzo di droni armati – che nessuno Stato europeo ha attualmente a disposizione – oppure di blitz terrestri con reparti specializzati. In questo caso è però indispensabile il via libera dell’Onu e l’assenso del governo locale. In Libia ci sono attualmente due governi e una situazione che appare totalmente fuori controllo. Quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale ad eccezione della Turchia, ha preso posizione contro i «traghettatori della morte» e bisognerà vedere se ciò sarà ritenuto sufficiente dalle Nazioni Unite per procedere. O se invece si preferirà attendere l’esito della missione di Bernardino León per creare un governo di unità nazionale con cui pianificare un intervento militare. Pur nella consapevolezza che i tempi non sembrano essere brevi.