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 2015  aprile 21 Martedì calendario

Draghi chiede più riforme. Sostiene che Italia, Portogallo e Francia devono fare di più: «Il Qe non è una panacea e deve essere accompagnato da uno sforzo dei Governi». Per quando riguarda la Grecia si dice convinto che non uscirà dall’euro

Il messaggio lanciato a Washington dal presidente della Bce, Mario Draghi, è rimbalzato ieri a Bruxelles, vera sede del confronto sul caso Grecia. Il vice di Draghi, Vitor Constancio, ha ripetuto che la Bce è convinta che la Grecia non uscirà dall’euro e precisato che non c’è alcuna disposizione nei Trattati europei per l’uscita formale di un Paese dall’unione monetaria. Constancio ha fatto un’aggiunta significativa: non è automatico per un Paese lasciare l’euro nel caso di default nei confronti di uno dei suoi creditori, uno scenario che molti osservatori cominciano a ritenere possibile. Grecia che resta nell’euro, ma sospende temporaneamente e parzialmente i pagamenti dei propri debiti.
È chiaro tuttavia dalle parole di Draghi e da quelle di Constancio che la Bce lavora per evitare entrambe queste circostanze. Al tempo stesso, però, il numero due dell’istituto di Francoforte ha sottolineato che la Bce non può promettere che la Grecia verrà finanziata in futuro in qualsiasi situazione o condizione, o per qualsiasi ammontare. Un modo per richiamare ancora una volta il Governo di Atene alle proprie responsabilità.
Naturalmente alla Bce devono pensare non solo a quello che succederà in Grecia, ma alle conseguenze per il resto dell’eurozona. Pur affermando che si tratta di speculazioni, Draghi aveva detto che saremmo «in acque inesplorate» se la crisi greca precipitasse. Non è un caso però che l’intervento di Constancio sia avvenuto alla presentazione del rapporto annuale della banca, che contiene una robusta autodifesa dell’acquisto di titoli pubblici, il cosiddetto Quantitative easing (Qe), avviato il mese scorso (la scorsa settimana la Bce ha comprato titoli per oltre 11 miliardi di euro). È proprio il Qe, come ha detto Draghi, lo strumento principale per arginare un eventuale contagio al resto dell’eurozona, soprattutto i Paesi considerati più vulnerabili. Draghi aveva citato anche l’Omt, l’acquisto di titoli dei Paesi in difficoltà, ma questo non è stato usato finora e sembra comunque meno praticabile, in quanto deve passare dall’approvazione di un programma economico.
È lo scudo del Qe a fare i suoi effetti sui mercati, dove la forza della domanda della Bce impedisce la dilatazione eccessiva degli spread. A Francoforte, però, sanno bene, al di là delle dichiarazioni ufficiali, che è illusorio pensare che un tracollo della Grecia passi senza colpire gli altri Paesi della periferia. «Gli effetti sul resto d’Europa sarebbero temporanei e minimi», sostiene il capo economista di Unicredit, Erik Nielsen. «Un default della Grecia potrebbe avere implicazioni sistemiche. Il pericolo di danni collaterali non è ancora prezzato dai mercati», afferma invece Lena Komileva di G+ Economics.
La Bce si deve cautelare contro ogni eventualità avversa. Anche nel rapporto annuale diffuso ieri ricorda, ai Paesi che potrebbero trovarsi in prima linea, che il Qe non è una panacea e dovrà essere accompagnato da uno sforzo dei Governi. In Portogallo e in Italia, ma anche in Francia, è richiesta un’azione decisa sulle riforme strutturali. La Bce è determinata a fare la sua parte, ma anche a non mollare la presa perché gli altri attori di questa vicenda facciano la propria.