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 2015  aprile 20 Lunedì calendario

Indagine sul killer degli ulivi. Viaggio nel Salento, invaso dalla XYLELLA. Milioni di piante in pericolo, un’intera zona sotto assedio, un’economia agricola che rischia la fine insieme alla sua cultura centenaria. E c’è chi teme che dietro ci sia solo speculazione

Il panorama in Salento, già oggi, non è più lo stesso. La natura è cambiata, è sofferente, l’ulivo in alcuni casi è un paziente operato a causa del batterio Xylella: rami secchi tagliati, tronchi ridotti al minimo; altre volte è ucciso, sradicato, i resti a terra, legna da ardere; gli alberi ancora vivi, per fortuna la maggioranza, rischiano, vengono continuamente monitorati da esperti e contadini, ogni cambiamento valutato ed esaminato, tra dubbi, paure, accuse incrociate. Ma quando c’è la “X” rossa sul tronco, non c’è più nessuna speranza. Dietro a tutto questo, anche l’idea di un complotto internazionale orchestrato da multinazionali avide, avide per antonomasia. Unica certezza: la terra de Lu Sule Lu Mare Lu Ientu, come amano ricordare da queste parti, ha perso il suo sorriso, la spensieratezza, la sua idea di “Stato a sè”, di autosufficienza lontana da bagarre cittadine, bagarre italiane; chi arriva a Lecce trova manifestazioni e sit-in, troupe straniere sul luogo, dai giapponesi ai tedeschi; i giornali locali concentrati sull’argomento, i comitati perennemente riuniti molto più simili a gabinetti di guerra che a riunioni di esperti del settore. Si tracciano mappe per delimitare i confini del contagio, con una linea cuscinetto di quindici chilometri di ampiezza posta all’altezza di Brindisi, per non allargare il disastro; si decidono le modalità di isolamento, squillano telefoni fissi e cellulari per pianificare una strategia. Quale strategia? Ancora non è chiaro, ognuno ha la sua ricetta, pari a un interesse, personale o collettivo.
La storia va riavvolta. Nel 2013 i primi veri allarmi, quando alcuni ulivi iniziano a seccarsi, una piccola quantità, ma significativa, e subito si parla di Xylella, immediatamente si dà la colpa a un batterio già noto all’estero, in primis sulle viti della California e sugli agrumeti, limoni in particolare, del Brasile. Ma attenzione al Costarica. Il paese centro-americano da molti viene indicato come il reale esportatore della tragedia, indice puntato verso le piante ornamentali importate anche in Salento da alcuni vivai, forti della legge europea “dove le maglie sono troppo ampie rispetto ai prodotti esteri, le leggi impongono pochi controlli sui prodotti in entrata”, denuncia Gian Maria Fara, presidente di Eurispes, protagonista di importanti studi sulle mafie agroalimentari. Ma sulle parole di Fara torneremo dopo.
Ritardi e non risposte
Il problema è uno: la Xylella non si distrugge, l’unica soluzione è imparare a conviverci, come insegnano le esperienze estere. Al contrario l’Italia non si è applicata né per combatterla, né ad ammansirla, l’Italia ha aspettato, sottovaluto la questione, in fin dei conti nel 2013 si parlava di appena 600 ulivi coinvolti, un granello rispetto ai milioni presenti nella sola provincia di Lecce. Poi arriviamo al 2014, anno della svolta, quando la Xylella diventa un nemico temibile e raccontato, nonostante questo “la politica resta ancora immobile. Ogni tanto qualcuno viene in Salento, ma poca cosa”, spiega Leo Greco, proprietario di una grande azienda agricola salentina e presidente di Aprol (Associazioni di produttori olivicoli). Fino a questo punto, nel giudizio negativo rispetto alla politica, tutti i protagonisti diretti, quindi agricoltori piccoli, medi o grandi sono d’accordo. Toni e parole cambiano quando si prendono in considerazione i rimedi, il futuro del Salento e le loro prospettive. “Dobbiamo sbrigarci, entro fine aprile, primi di maggio, le larve si svilupperanno – continua Leo Greco – quindi dobbiamo attuare una serie di operazioni per limitare il danno. Quali? Arare i terreni, abbattere gli ulivi, disinfettare il terreno. E poi dobbiamo stare attenti, il batterio è ‘autostoppista’, si attacca anche alle macchine, e possiamo essere noi stessi a trasportarlo”. Non solo, “successivamente dobbiamo cambiare le nostre tecniche di coltivazione, siamo troppo arretrati rispetto alla Spagna”. La penisola iberica è diventata un faro per alcuni produttori, la stella polare del business, con alberi più piccoli, facili da gestire, olive dall’alta resa, in fin dei conti la Puglia, già oggi, è un produttore strategico non solo di olio, ma anche di uva, agrumi, prodotti agroalimentari di diversa natura, con frutta, pomodori, piante aromatiche, cereali, piante ornamentali. Un fatturato annuo di circa 1.3 miliardi di euro. Con nuove tecniche, quella cifra totale, potrebbe moltiplicarsi.
Dal ministero dell’Agricoltura spiegano: “Il piano della Protezione civile prevede misure che hanno il principale obiettivo di impedire l’avanzata del batterio a nord della zona colpita e di contenere la diffusione nella zona salentina. Per raggiungere questo risultato è fondamentale nei 15 prossimi giorni che gli agricoltori continuino ad attuare le buone pratiche agricole indicate dal piano (fresature, trinciature ed erpicature). Accanto a questa fase è prevista l’estirpazione delle piante ospiti non produttive (non ulivi) e l’abbattimento selettivo degli ulivi infetti solo nella zona cuscinetto per un massimo di 35mila piante (la stima effettiva a oggi è più bassa) per un valore di 2,45 milioni di euro su un budget complessivo di 13,61 milioni di euro”. Non solo, la politica sta lavorando per chiedere lo stato di “calamità naturale”, e sarebbe la prima volta per casi del genere: vuol dire altri soldi, risarcimenti per le zone colpite, euro ai protagonisti del danno, “ipotesi non sgradita a molti agricoltori, purtroppo”, sottolinea Luigi Russo, giornalista, esperto e uno degli autori del report sulle mafie agroalimentari. “Sabato la Procura di Lecce – prosegue Russo – è andata allo Iam di Bari (l’Istituto Agronomico del Mediterraneo) per sequestrare dei documenti rispetto alla Xylella”. E non è la prima volta.
Il convegno sotto accusa
Lo Iam è una struttura operativa italiana del CIHEAM (organizzazione intergovernativa) e, in quanto tale, gode dei privilegi di extraterritorialità riconosciuti dalla Repubblica Italiana agli organismi internazionali. Nessuno può entrare, in teoria. Qui, nel 2010, hanno organizzato un convegno dedicato proprio alla Xylella, con il batterio mostrato ai presenti, e quel workshop è finito al centro dell’inchiesta per diffusione colposa di una malattia delle piante. Il fascicolo, al momento, è comunque a carico di ignoti e alle indagini sono delegati anche i militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza. “Sarà un caso, ma tutto parte da quella giornata – interviene Gian Maria Fara – O hanno avuto una forte capacità di preveggenza, o immagino ben altro. Comunque il dato è uno: l’abbattimento degli ulivi apre le porte a grandi possibilità di speculazione, anche perché oltre ai soldi dello stato di calamità, ci sono anche i finanziamenti della Unione Europea. E il Salento è una terra vergine, con enormi possibilità, a partire dal dibattito sulla superstrada Lecce-Maglie, poi la voglia di speculazione edilizia, il desiderio di sostituire le piante secolari con gli ulivi creati in laboratorio e l’indicazione di intossicare la terra con i fitofarmaci”. Ma il quadro non è limitato agli ulivi: “Per l’Italia il 2014 è stato un anno con troppe coincidenze nefaste, anche i castagni, le nocciole e numerosi colture tipiche del Paese sono state attaccate”, conclude Fara.
Luca è un medio produttore, quarant’anni, terza generazione di coltivatori, occhi bassi, sguardo tra l’affranto e l’angosciato, quando parla sembra una persona che ha preso una serie di ceffoni, senza conoscerne il motivo: “Qui vogliono cambiare totalmente la storia di questa zona, non capisco cosa sta accadendo, non ne capisco il motivo, troppe domande senza risposta. Perché un terreno è colpito, e magari quello di fronte è salvo? Perché quasi sempre la Xylella, se è Xylella, parte dai bordi della strada? Da queste parti c’è un collega che sta curando le piante con metodi naturali, antichi, e i risultati sono stupefacenti. Ma nessuno dei ricercatori lo prende in considerazione”. Il signore si chiama Ivano Gioffreda, molti hanno iniziato a seguirlo, imitarlo, lui su facebook mostra i miglioramenti e offre consigli; chi non lo stima lo ha definito “il santone”, come gli stessi giornali locali: “È vero, e non offendono solo me, ma anche i nostri nonni, perché i miei metodi partono da lontano, affondano nella memoria di questa terra – racconta Ivano – Quali? Sono partito dall’analisi delle piante e ho scoperto che sono attaccate da funghi patogeni, non solo da Xylella, così ho utilizzato metodi naturali, e poco costosi, come la calce, solfato di rame e solfato di ferro. Poi, soprattutto, ho nutrito il terreno, un terreno completamente morto, privo di sostanza organica, pieno di sostanze chimiche sparse in questi decenni”. Risultato: dentro l’epicentro della catastrofe, le sue nove piante curate, hanno ricominciato a produrre rami sani. “Ma lei lo sa del convegno organizzato a Bari nel 2010?”, insiste Gioffreda. Ancora Bari. “Comunque nessuno vuole ascoltare, diamo fastidio”.
Anche Russo è d’accordo, riguardo al fastidio: “Nel 2012 in un convegno a Saragozza organizzato dalle grandi multinazionali del settore, è uscito che la quota di prodotto ‘tradizionale’ deve essere ridotta, altrimenti si danneggia lo sviluppo del metodo ‘intensivo’. Insomma, i piccoli danno fastidio ai grandi, anche perché il prodotto realizzato con metodi tradizionale e da piante secolari mantiene i polifenoli (antinfiammatori e antibatterici) per due anni, mentre quelli spagnoli al massimo per otto mesi. Ah, in questi mesi ho visto tanti agricoltori distrutti, arresi, ma tanti altri pronti a difendere il territorio e la sua storia”. Ed è vero.
La Francia ha chiuso le frontiere
Intanto però, tra teorie di complotto, allarmi, indagini e inchieste, c’è chi subisce i primi danni a latere: la Francia ha chiuso le sue frontiere, nessun prodotto agricolo pugliese può entrare, neanche le orchidee, eppure intorno a Nizza e Parigi si denunciano i primi focolai del batterio. Tir e container fermi alla frontiera a tempo indeterminato, temono il contagio sulle preziose vigne. E ancora: il turismo. L’idea della Xylella spaventa, l’allarme rende meno sereni, alcune strutture hanno registrato dei cali o delle rinunce, mentre “altri chiamano perché pensano di venire in Salento per dare l’addio a un paesaggio che probabilmente in futuro non vedranno più”, spiega Enrico, proprietario di un agriturismo vicino Gallipoli.
Cantano i Sud Sound System: “Ti tolgono anche la terra da sotto i piedi, si comprano tutto quello a cui tu tieni; mi dispiace per tutto quello che ci state togliendo. Ma siamo ancora qua, da qua non ce ne siamo mai andati!”.