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 2015  aprile 20 Lunedì calendario

«A Rio ci sarò». A 41 anni Valentina Vezzali ci crede ancora: «Mi sento come Valentino Rossi: il talento non sfiorisce». Dopo tre ori di fila alle Olimpiadi, due figli e l’elezione in Parlamento, la fiorettista azzurra non è ancora sazia e ci riprova: «Ho paura anch’io, ma la paura ho imparato a trasformarla in determinazione»

«Spegni tu le luci?». Valentina è l’ultima ad andar via. Il custode del club scherma Roma fa ogni sera la stessa domanda alla signora Vezzali. «Sì tranquillo, faccio una doccia e vado». Sono quasi le 23 e c’è nebbia fuori, gli atleti al centro del Coni Giulio Onesti dormono quasi tutti, nel silenzio il rimestio delle stoviglie dalle cucine e nel buio qualche faro d’auto che si allontana. Nord città, cemento, prati umidi, oltre il cancello a quest’ora solo prostitute sulla strada. Una notte come mille, che sia aprile lo capisci dall’urgenza: «Stanno per iniziare le qualificazioni olimpiche». Rio 2016 potrebbe essere la sesta volta per Valentina. Potrebbe: ai Giochi in Brasile andranno solo le migliori due fiorettiste italiane, la gara a squadre non ci sarà. Niente dream team, ognuna sogna da sola: i punti si raccolgono dalle prossime gare a maggio, poi soprattutto agli Europei a giugno e ai mondiali di luglio a Mosca. «Io ci sarò a Rio: per vincere. Quando dico una cosa, io la faccio».
A 41 anni, non è sazia. Tre ori di fila in tre edizioni da Sydney 2000, 6 titoli mondiali, 5 europei. Pietro e Andrea, i figli avuti con il calciatore Domenico Giugliano. Poco dopo ciascun parto era già in pedana. Poliziotta, parlamentare eletta con Monti, è nella Lista civica per l’Italia, membro della Commissione cultura. «È dura, ma mi fa sentire viva. Quattro notti a Roma, tre a Jesi con la famiglia. Allenamento, aula, fioretto. Lontana dai miei bambini: è la cosa più difficile. Ah se non ci fosse mia madre, cosa sarei? Niente. Sono la Vezzali solo grazie a mamma Enrica, 76 anni, rimasta vedova che ne aveva 50 con tre figlie da crescere. Mi ha insegnato la fatica. Quasi tutta la settimana bada lei ai ragazzi, va ai colloqui con i maestri. Io sono negata per le faccende casalinghe e non cucino. Mamma invece è un super eroe. Era troppo piccola per lavare i piatti, le mettevano uno sgabello sotto i piedi per arrivare al lavandino. Io sono venuta su col senso del sacrificio dentro».
Bandiera azzurra. Pochi giorni fa la Cnn è stata qui per raccontarla. Un animale raro, Discovery Channel è venuta a studiarla. Il soldato Vezzali e la sua battaglia. Dalle Marche a Roma in auto andata e ritorno due volte ogni sette giorni con l’assistente Rossana Del Regno, monzese trasferita a Senigallia: «Due cene fuori in quasi tre anni, proprio l’altro giorno Valentina mi ha rassicurata: “dai, che anche noi una sera usciremo. Subito dopo Rio, a settembre 2016”». Intanto, la mensa. Appartamento al Giulio Onesti, quando è disponibile: una branda e poco altro. L’essenziale, anzi il monacale, come un adolescente in ritiro, una studentessa fuori sede. Sennò un albergo in zona per arrivare presto al campo. Sveglia alle 6.30, sempre e ovunque, per due ore di jogging, il cappuccio della felpa sulla testa. Sotto qualsiasi cielo, tra i viali di una Roma che ancora dorme, sciupata dalla notte. «Pioggia, vento, neve, freddo. Mi metto la tuta ed esco». È magrissima Valentina, muscoli, spigoli, nervi. La maglietta si appiccica alle ossa sudate. Doccia alle 8.30 e via in Parlamento. In tailleur. Aula, poi indietro verso l’Acqua Acetosa. La maschera e le armi. Tira contro chiunque sia disponibile. Lo sono in tanti. Maschi e femmine, «Vale, fai con me il prossimo assalto?». Non perde mai. Non lo concepisce. Ogni volta come fosse l’ultima. «Avevo 10 anni quando vinsi i miei primi campionati italiani, categoria Prime Lame: 5-1. Oddio, aver preso una stoccata mi infastidiva. Per me erano già i Giochi. Mio padre corse verso di me e mi sollevò facendomi roteare in aria. Quella sensazione non la dimenticherò mai. Con lui parlavamo di quando sarei diventata campionessa olimpica, ero una bambina. È morto a 59 anni, troppo presto. Mi è piaciuto da subito vincere. A 14 anni persi in coppa under 20. Piangevo disperata. Proprio disperata. Il grande maestro Triccoli arrivò in palestra a Jesi e mi disse: sei venuta a svuotare l’armadietto? Mi pungeva, mi provocava, mi stimolava. Non è mai cambiato per me quel sentimento di pungolo, l’unica cosa è che forse dovrei ricominciare a piangere in quel modo. Piangere rigenera».
Portabandiera a Londra 2012, tutti pensavano che avrebbe smesso. Una chiusura col bronzo, e che bronzo. Epico. 8-12 sotto con la coreana Nam Hyun-Hee a 21 secondi dalla fine. Lo racconta che sembra adesso: «Volevo l’oro, dopo averlo fallito sono salita in pedana che non me ne fregava molto. Mi stavo lasciando andare. Poi la mia compagna di squadra Ilaria Salvatori mi ha ripetuto le parole del ct Cerioni, che urlava da parecchio “alla spalla” ma io non lo sentivo. Dovevo colpirla alla spalla. Ho recuperato 4 punti negli ultimi 12 secondi, poi la stoccata vincente nell’extra time. È successo tutto quel giorno. Non che prima avessi mai detto basta, ma ho capito che avevo ancora voglia. Mi sento come Valentino Rossi: il talento non sfiorisce. E il mio maestro Tomassini ha ancora fiducia in me. La sfida non è ancora finita. Contro chi? Contro me stessa. L’avversario ti consuma mentalmente, la scherma è una questione di testa. Ho paura anch’io, mica sono un robot come molti credono, ma la paura ho imparato a trasformarla in determinazione. Prima di un assalto devi fare pulizia dentro, essere libero e sgombro. Pensare intralcia, non ti fa sentire l’altro. Ho imparato a essere così: dai miei mai un abbraccio o una carezza, la loro vicinanza è sempre stata la forza. La resistenza. E io resisto».
Valentina spegne le luci, l’ultima ad andare via.