la Repubblica, 20 aprile 2015
Adesso Palazzo Chigi dichiara guerra agli scafisti. E lo fa pensando a un’operazione militare perché «i negrieri che fanno base in Libia vanno colpiti come fossero un’organizzazione mafiosa». Ma servono l’appoggio della comunità internazionale, dell’Onu, e il via libera dell’America e della Russia
«Dobbiamo dichiarare guerra agli scafisti». Non a parole, ma distruggendo i barconi nei porti, combattendo i criminali che spingono i profughi in mare. Matteo Renzi pensa che sia finito il tempo «delle sole operazioni umanitarie». Che Mare Nostrum scontasse «una grande debolezza. Era un’iniziativa soltanto italiana e quando chiamavamo gli altri in aiuto rispondevano: che volete, avete fatto tutto voi». Per una guerra però bisogna agire con la comunità internazionale, con l’Onu, con il via libera dell’America e della Russia, i paesi forti del Consiglio di sicurezza. «Gli schiavisti del XXI secolo non possono essere un problema esclusivamente italiano. Stavolta agiremo con la partecipazione più larga possibile. Nessuno, a cominciare dall’Europa, deve avere più alibi».
Dunque, l’opzione è quella militare. O di polizia internazionale perché i negrieri che fanno base in Libia vanno colpiti come fossero «un’organizzazione mafiosa», spiegano il sottosegretario ai servizi Marco Minniti e il direttore dell’ intelligence Giampiero Massolo durante il vertice a Palazzo Chigi. Si può usare la risoluzione delle Nazioni unite che consente i raid aerei in Siria e in Iraq contro l’Isis. La si estende alla Libia. Così diventa lo strumento per colpire anche gli scafisti. Ma lo scoglio dell’Onu non è semplice da superare. Per questo Renzi si attacca al telefono nel pomeriggio e chiama i leader mondiali. Chiede un consiglio europeo straordinario in modo che l’Unione parli una sola lingua e si faccia sentire specialmente con Barack Obama. È un’opzione che ha bisogno di una copertura militare, tecnica, giuridica. Ma non è tanto lontana nella preparazione logistica, fondamentale per le azioni di guerra, se è vero, come dicono fonti dell’intelligence, che dell’organizzazione schiavista si sa già molto: nomi, cellulari, basi e covi. Quasi tutti piazzati in particolare intorno al porto di Zwara.
Durante il vertice del governo, con i ministri della Difesa, Roberta Pinotti, degli Esteri Paolo Gentiloni, delle Infrastrutture Graziano Delrio, con la partecipazione dell’Alto rappresentate Federica Mogherini, viene esaminata la dinamica del naufragio. Ma si passa quasi subito a valutare i passaggi per superare lo strumento umanitario e distruggere alla radice il fenomeno. Primo step, spiega Renzi, è la battaglia in Europa. «Non possiamo essere solo noi a offrire soluzioni altrimenti gli altri Paesi se ne lavano le mani», ripete il premier. Secondo step: stabilizzare la Libia. Un’impresa. «Continuiamo a sostenere gli sforzi dell’Onu e del capo della missione Bernardino Leon, ma...». Il “ma” di Palazzo Chigi riguarda i tempi. «Non può diventare una missione senza fine. Va fissata una scadenza. Sennò attendiamo come Godot un accordo tra le tribù che non arriva mai».
Una Libia non più fuori controllo è la condizione indispensabile per avviare qualsiasi operazione che confidi in qualche successo. I paragoni avanzati da Forza Italia con le capacità di gestire un accordo durante i governi Berlusconi sono fuori luogo, dicono le fonti del governo. Il Cavaliere stringeva intese con Gheddafi, un leader che tiranneggiava su un Paese stabilizzato. Oggi la situazione è completamente diversa. Molto più complicata. «Ma non si può perdere altro tempo». L’affondamento dei barconi della disperazione funzionò in Albania, laddove, dopo una crisi politica che sfiorò la guerra civile, si insediò un governo riconosciuto. Il dialogo tra l’Italia e le autorità albanesi consentì alla Marina di distruggere la flotta criminale di Valona e Durazzo. In Libia non si sa con chi parlare. Eppure Tripoli è la capitale di una nazione sovrana, seppure trasformata in un terreno di violenze. «Il blocco navale perciò è illegittimo. È una dichiarazione di guerra non contro gli scafisti ma contro uno stato – è il ragionamento di Renzi —. Senza contare che si trasformerebbe in un servizio taxi per gli scafisti».
Il quadro complessivo spinge dunque verso un’azione europea e internazionale contro gli scafisti. Un’azione militare senza dubbio. Non mancano alcuni precedenti, ad esempio il tipo di missione anti-pirateria che fu adottata nel Corno d’Africa. Questo è l’indirizzo italiano, l’idea con cui il premier si presenterà al vertice straordinario dei capi di governo europei. E prima che le caselle del mondo vadano tutte al loro posto? L’Italia non lascerà soli i profughi, non rinuncerà alla parte umanitaria del problema. Delrio era alla riunione dei ministri in qualità di coordinatore della Guardia Costiera, che continuerà a salvare vite umane quando è possibile. Ma è una risposta non sufficiente, insiste Renzi nei suoi colloqui telefonici, perché «va affrontata la questione alla radice». E se Obama ha lasciato uno spiraglio sulla vicenda libica nell’incontro di venerdì, ora l’appoggio degli Usa diventa ancora più necessario. Insieme con quello dell’Unione europea. «Stavolta chiederò un’assunzione di responsabilità collettiva. L’Europa non deve far finta di niente», avverte il premier.