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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

Ecco la mano robotica made in Italy. Stampata in 3D, costa come uno scooter. Nasce dalla collaborazione tra l’Istituto Italiano di Tecnologia e il centro protesi dell’Inail. Il paziente zero: «Ogni giorno mi regala un miracolo. Ha risvegliato una parte di me»

«Ci devo riuscire…», sussurra Marco Zambelli, mentre stringe i denti per appoggiare un piccolo cilindro di legno sopra un altro. Il pubblico trattiene il fiato, lui ci riprova e ce la fa. «Il vero segreto di questa mano artificiale è lui. Forza di volontà e motivazione. Senza queste condizioni non potrebbe funzionare», spiega Emanuele Gruppioni, uno degli ingegneri che hanno seguito il progetto della prima mano «poliarticolata, polifunzionale e antropomorfa» made in Italy, realizzata in joint-venture dall’Istituto italiano di Tecnologia di Genova e dal centro protesi dell’Inail di Budrio.
Fuori dalla terminologia tecnica, si tratta di una mano robot, diversa dalle classiche protesi fisse, disegnate con le fattezze di un arto umano, ma con al massimo un pollice mobile. In questo caso la capacità prensile è superiore, quasi totale, e permette il recupero di molte attività. Le dita si muovono insieme perché il cervello glielo ordina. Il movimento è molto più naturale grazie a un tendine artificiale e a due sensori che catturano i segnali dei muscoli residui. Il tutto stampato in 3D, in materiale plastico e con pochi componenti metallici, particolari che rendono la mano robusta ma leggera (pesa meno di 500 grammi). «Abbiamo lavorato sulla semplicità. Un solo motore e un unico cavo che si arrotola e gira in tutte le dita. Le altre protesi, invece, usano due, tre, anche cinque motori. Questo ci ha permesso di abbattere i costi», spiega Giorgio Grioli, un altro degli ingegneri del team di trentenni che hanno sviluppato la mano a Genova e l’hanno testata nel centro bolognese di Budrio.
Zambelli è il paziente zero. È su di lui che l’Iit e l’Inail hanno riversato la responsabilità del futuro del prototipo. L’incarnazione di un’altra magia della scienza, ma anche la dimostrazione che nella biotecnologia la componente umana è il cuore di ogni androide. Zambelli è uno che ti risponde candidamente: «Ogni giorno è un miracolo. Scopro qualcosa di nuovo». Ha ritrovato l’uso della mano destra a 60 anni. A 15 anni aveva subito l’amputazione. Da allora le aveva provate un po’ tutte: «La protesi fa parte di me, da sempre. Però era lì, fissa, inutilizzata». Per 45 anni ha imparato a fare tutto con la sinistra, con una rapidità e un’abilità che difficilmente conserva chi di mani ne ha due. E fino a quattro mesi fa, quando gli hanno proposto di fare da «cavia», non pensava potesse ritrovare la mano destra. È stato come imparare un nuovo alfabeto, racconta: «La prima cosa di cui mi sono accorto è che è cambiato il mio modo di pensare. Si è risvegliata una parte di me».
Zambelli è il volto di questa storia di successo. Usa il trapano, la morsa, gioca con una pallina di tennis. E quando ti saluta d’istinto gli viene da porgere la mano sinistra: poi se ne accorge e offre la destra con cui stringe la tua, dolcemente: «Solo perché ho messo al minimo la potenza, sennò te la stritolavo». I dirigenti dell’Inail se lo coccolano. Dopo di lui molti altri potranno utilizzare la mano robotica. Dal 2017 sarà disponibile sul mercato. Come start-up. «Al costo di uno scooter», giura Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Iit. Vuol dire circa 3 mila euro a carico del paziente. Il resto lo pagherà il sistema sanitario nazionale. «Faremo in modo di inserirla nei “Livelli essenziali di assistenza” – promette il ministro della Salute Beatrice Lorenzin che ha partecipato alla presentazione a Roma -. Così supereremo il gap che fa la differenza tra chi può averla e chi no».