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 2015  aprile 16 Giovedì calendario

Google, l’algoritmo della discordia. È il meccanismo delle ricerche che ha scatenato l’Ue contro il colosso californiano. Il nodo della questione, spiegato bene

L’Antitrust Ue ha aperto due procedure controGoogle. La prima sulle indicazioni del motore di ricerca.  Il colosso californiano favorirebbe sistematicamente il proprio prodotto per gli acquisti comparativi nelle sue pagine generali che mostrano i risultati delle ricerche. E la seconda sul comportamento del colosso californiano relativo al sistema operativo mobile Android. Dopo cinque anni di indagini il commissario alla concorrenza Margrethe Vestager vuole vederci chiaro e chiede a Google di trattare i suoi servizi di confronto shopping allo stesso modo di quelli dei suoi rivali. L’accusa è chiara: le ricerche di Google, che resta il motore di ricerca nell’Ue più usato, favorirebbero i suoi servizi, non garantendo risultati neutri.
«Non vogliamo interferire con il design o altre scelte -ha detto la commissaria – ma vogliamo che i consumatori siano certi di vedere i migliori risultati sullo “shopping” e non solo quelli di Google se non sono i più rilevanti». Una domanda è lecita: quali sono i risultati migliori?
Oggetto del contendere è l’algoritmo che governa il motore di ricerca. Gli algoritmi sono i processi informatici e le formule che trasformano le tue domande in risposte. Attualmente gli algoritmi di Google si basano su oltre 200 segnali univoci o “indizi” che consentono di intuire che cosa stai realmente cercando. Questi segnali includono elementi quali i termini presenti nei siti web, l’attualità dei contenuti, l’area geografica e il PageRank. In qualche modo pesano, misurano e quindi stabiliscono la gerarchia dei risultati delle risposte. Attribuiscono rilevanza e autorità ad una determinata pagina, piuttosto che a un’altra. E di conseguenza decidono la posizione dei risultati di ricerca nella pagina. Come sa bene ogni programmatore o esperto di informatica gli algoritmi non mai neutrali, riflettono i desiderata di chi li scrive, o le idee di chi li fa scrivere. Domandarsi quale è il risultato migliore può essere fuorviante e insensato per chi sa di computer.
Conoscere come funziona l’algoritmo è invece il presupposto di partenza. Nel caso di quello di Google i pesi che stabiliscono la gerarchia delle risposte non sono fissi. L’algoritmo cambia e gli aggiornamenti avvengono piuttosto in sordina. Due anni fa Google annunciò Hummingbird (il nome nelle tecnologie di Mountain View è sempre pittoresco). Tre anni prima l’aggiornamento si chiamava Caffeine. In ogni caso, Google non ha mai pubblicato la lista di tutti i segnali. E mai lo farà. Rendere pubblico il codice renderebbe più facilmente manipolabili i risultati delle ricerche. Ma più che altro significherebbe regalare la proprietà intellettuale più preziosa.
Per il motore di ricerca è però l’accusa a non stare in piedi. In un post pubblicato sul proprio blog ha fatto sapere che i risultati del suo servizio shopping non hanno creato danni alla concorrenza.
Come andrà a finire? Un precedente c’è. Tre anni fa la Federal Trade Commission degli Stati Uniti espresse un giudizio durissimo nei confronti delle tattiche anticompetitive di Google. Il gigante californiano favoriva i propri servizi sul motore di ricerca, a danno di quelli dei concorrenti. Avrebbe copiato contenuti dei siti dei rivali per favorire i propri e avrebbe messo in campo due stratagemmi per limitare i concorrenti sul mercato pubblicitario. Nonostante la gravità delle accuse i commissari decisero di non perseguire Google che, in cambio, promise di rimediare.
Altro discorso è invece quello legato ad Android. La maggior parte dei produttori di smartphone e di tablet usano il sistema operativo Android in combinazione con una serie di applicazioni e servizi proprietari di Google: stipulano così accordi con Google per ottenere il diritto di installarne le applicazioni sui loro dispositivi Android. Il vantaggio di Android è che il sistema è open source: si paga la personalizzazione. Gli accordi con i partner di Android sono su base volontaria e il sistema operativo può essere utilizzato senza Google. Tuttavia, è evidente che l’integrazione con gli applicativi di Mountain View risulta vantaggiosa per i consumatori.
Sotto questo punto di vista l’indagine richiama alla memoria quella contro Microsoft accusata di approfittare della diffusione del sistema operativo Windows per tenere i concorrenti fuori dal mercato dei computer aziendali. Il verdetto arrivò nel 2012 con la condanna a pagare 1,7 milioni di euro. Fu Mario Monti a istruire l’indagine contro Microsoft. Oggi c’è la Vestager che non sembra incline al patteggiamento. In ballo c’è altro. E lo sanno tutti. Una diversa concezione dei diritti in Europa e negli Stati Uniti; lo strapotere delle piattaforme tecnologiche californiane e il ritardo nei settori a più alto tasso di innovazione del vecchio continente. In mezzo c’è Google. Il bersaglio più grosso che ora ha dieci settimane per rispondere alle accuse.