La Stampa, 16 aprile 2015
Se il rugby italiano dimentica il fair play. Scontro frontale (e digitale) sui soldi tra gli Azzurri e la federazione. Sconfitte in serie, ct con le valigie, ora le liti: la favola della palla ovale tricolore è finita?
Una volta per discutere di soldi nel rugby ci si attaccava al muro negli spogliatoi, oggi si usa Twitter. Forse è un progresso. Per il resto la questione è antica come il mondo, ovale e no. Gli azzurri sono in rivolta contro il Presidente federale Alfredo Gavazzi, che in vista dei Mondiale di settembre in Inghilterra vuole tagliare i gettoni di presenza in nazionale (6.500 euro a testa e a partita per Sei Nazioni e test-match) e legare il compenso (50.000 euro) solo all’eventuale e al momento improbabile qualificazione ai quarti. Martedì sera il capitano Sergio Parisse ha cinguettato una delle frasi incriminate di Gavazzi («dei pensionati sono stanco, al 15° posto del ranking non ci sono andato io») bollando il velenoso hashtag #portacirispetto. È seguito il retweet di tutti gli azzurri e azzurrabili, da Castrogiovanni a Bortolami, da Haimona a Ghiraldini. Uno scontro digitale ma frontale, il rischio è che il nostro rugby vada in pezzi.
Premio produzione
Gavazzi è un imprenditore bresciano e un ex pilone, ha saputo fondare e portare in alto sia un’azienda (ramo elettronica) sia una squadra come il Calvisano, ma la diplomazia non è il suo forte. Sulle sue convinzioni tira dritto come Matteo Renzi e l’idea di legare i danè alla produzione (di vittorie) ha un senso, anche se forse era meglio modularla con più garbo, magari parlando di «incentivi». Perché è vero che gli azzurri che militano in una delle due franchigie «hanno lo stipendio già pagato dalla federazione», e che con la scarsa competizione interna dovuta alla penuria di talenti italici chi afferra una maglia azzurra a volte rischia di considerarla più un posto fisso (con relativo vitalizio) che una sfida. Ma in nazionale ci sono anche tanti che, come Parisse, giocano all’estero, e reclamano una retribuzione al netto dei risultati.
Rischio Mondiali
Si rischierebbe dunque di fare figli e figliastri. Già in passato per questi motivi si era rischiato lo sciopero, il problema è che ancora una volta – pare una maledizione – rischiamo di presentarci ai Mondiali disuniti e, con un Sei Nazioni increscioso sulle spalle e un ct con le valige in mano, quando invece per coltivare una speranziella di battere Francia e/o Irlanda occorrerebbero serenità e coesione. Ieri Twitter ha taciuto, la Fir non ha commentato e sono tornati al lavoro gli avvocati e i procuratori. Gli unici che con le battaglie del grano sono sicuri di guadagnarci. A prescindere.