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 2015  aprile 16 Giovedì calendario

Gli 80 anni di Gianni Letta, un andreottiano alla corte di Berlusconi. Il compleanno del Gran visir dei poteri forti. Ha romanizzato il berlusconismo con la gestione di nomine e affari ed è onnipresente nei cafonal di Umberto Pizzi

Gianni Letta ieri ha festeggiato ottanta anni ma l’odore di borotalco che storicamente annuncia il suo arrivo o la sua presenza è stato il solito. Almeno così raccontano gli amici che già all’alba hanno digitato il suo numero di telefono, moderno Santo Graal della Seconda Repubblica, per fargli gli auguri. Dicono anche, gli amici, che non c’è stata alcuna festa o cena e che “Gianni” preferisce piuttosto onorare l’onomastico, da antico provinciale dell’Abruzzo. Se Silvio Berlusconi fu l’Unto del Signore, allora Gianni Letta è stato e resta l’Untuoso del Potere. Il leghista Roberto Calderoli lo bollò come “il viscidone dei poteri forti”, altri si sono limitati a Gran Visir o a Eminenza Azzurrina (copy Dagospia). Da anni la vulgata berlusconiana fa risalire a due cause il letale fallimento della rivoluzione liberale promessa nel 1994. Senza dimenticare, ovviamente, il peccato originale, e cioè la natura privatistica del potere concepita dal Capo. Le due cause sono il giannilettismo e il tremontismo, quest’ultimo ambizioso, solitario e rigorista.
Il giannilettismo è una strana bestia dai modi curiali, affettati, nascosti, morbidi, silenziosi eppure presenzialisti e ossessivi (non dimentica mai un invito, non dimentica mai una raccomandazione che gli sta a cuore). Letta è stato l’anello di congiunzione tra il male peggiore della Dc, il gestionismo andreottiano alimentato da nomine e affari, e il carisma di Berlusconi. Una strana bestia, appunto: che non solo non ha mai preso la tessera di Forza Italia oppure si è fatta eleggere in Parlamento, ma che in fondo non è mai stata berlusconiana nel senso più rotondo. Semmai è stato il contrario. È stato Letta che ha romanizzato e andreottizzato il berlusconismo.
Nelle istituzioni il punto più alto conquistato dall’Untuoso del Potere diventato ottuagenario è la poltrona di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Lo stesso B. lo definì “il vero premier” nonché “un dono di Dio all’Italia”. E che dono. Come dimenticare tutti i regali che Letta ha fatto al Paese. I più speciali: la cricca del suo amico (gay) Angelo Balducci, tra l’altro gentiluomo di Sua Santità, e la “Ditta” di Luigi Bisignani, piduista e due volte pregiudicato (Enimont nella Prima Repubblica, scandalo P4 nella Seconda). Letta è stato il Gran Visir a capo della casta dei supermandarini piranha che si è ingrassata con ministeri ed enti pubblici. Nonostante tutto, però, Letta è sempre scampato a intercettazioni e inchieste. La sua verginità giudiziaria è stata salvata da amnistie e archiviazioni, anche se una patina opaca è rimasta, altrimenti sarebbe diventato senatore a vita oppure presidente della Repubblica. Negli ultimi anni bui del berlusconismo di governo, dal 2009 in poi, la cordata di rito democristiano del centrodestra ha pure sperato di vederlo capo del governo, confidando nella pericolosa satiriasi dell’ex Cavaliere. È la storia incastrata tra le righe dell’inchiesta sulla P4, quando emerge che la “Ditta” di Bisignani ostentava il controllo di alcuni giornaloni borghesi del nord e sparlava del “capo malato” al telefono, muovendosi per un cambio di cavallo a Palazzo Chigi. Del resto fu lo stesso Letta che una sera a cena, poco dopo l’esplosione del caso di Noemi Letizia, bisbigliò al suo vicino di tavolo: “Uno statista non può andare a Casoria”. Ma Berlusconi, a differenza dei suoi vari cerchi magici (dalla Santanchè alla Rossi), non ha mai voluto credere a questa storia e non ha mai ripudiato il suo Gran Visir, tuttora uomo Fininvest con ufficio nel largo del Nazareno a Roma, insieme con Fedele Confalonieri. Portatore di una fama da eccelso mediatore, in realtà Gianni Letta non ha mai avuto successo con le sue grandi operazioni da colomba berlusconiana: il patto della crostata con D’Alema per la Bicamerale; quello più recente con Renzi (in condominio con Verdini); la promessa di grazia ad personam per B. concordata con Napolitano al Quirinale dopo la condanna Mediaset; le varie trattative per far rientrare dissidenti e scissionisti del centrodestra (Casini, Follini, Fini, Alfano).
Nel berlusconismo, Letta è stato l’uomo del Vaticano (fulgido esempio: la lobby del cardinale Bertone che promuove lo sconosciuto Simeon, altro gay), della filiera finanziaria Geronzi-Caltagirone, dei servizi segreti. Nelle agiografie di questi giorni, il Gran Visir viene spacciato anche per grande giornalista avendo fatto il direttore del Tempo, storico zoccolo duro di quegli ambienti romani della destra cattolica e fascista. Basta ricordare l’epitaffio che Letta vergò per Renato Angiolillo, fondatore del Tempo: “È stato il direttore più grande di tutti anche perché non scriveva mai una riga”. Questo è il giannilettismo multiforme: non lasciare mai tracce, solo odore di borotalco.