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 2015  aprile 16 Giovedì calendario

Si avvicina il tour negli stadi e Vasco va a raccontarsi nelle radio: «Ci fosse una pastiglia contro il senso di colpa avrei risolto i miei problemi. La musica è la mia autoanalisi e sarà così fino a che non tirerò le cuoia. Mi sono sentito morto già due volte...»

I colpi sui finestrini del van fanno paura. Che poi Vasco sia lì dentro o viaggi nella vettura che segue poco importa. Ai fan che lo inseguono nel traffico impazzito da Salone del Mobile di Milano basta immaginare di aver incrociato il suo sguardo dietro i vetri oscurati. Una ragazza in lacrime blocca la strada e ci vuole un addetto alla sicurezza per spostarla di peso. Istantanee di ordinaria follia. Si avvicina il tour negli stadi (14 date, partenza il 7 giugno da Bari, raddoppio a S.Siro e in alte città e un ritorno a Napoli dopo 11 anni) e il rocker va a raccontarsi nelle radio. «Sarà un tour che conferma la direzione heavy presa nel 2014», annuncia. Radio2 con Giovanni Veronesi lo va a trovare in albergo, Linus e Nicola Savino lo ospitano a Deejay, Paola Gallo gli fa trovare 200 fan nell’auditorium di Radio Italia, Petra Loreggian lo incontra a Rds.
I fan non passano oltre le linee della sicurezza, ma ovunque ci sono pile di cartoline e dischi da autografare, selfie da scattare (li fanno anche i cameramen nelle pause pubblicitarie) e racconti di vita come quello di Michela che al collo ha un pendente, regalo di mamma, con un Vasco versione cartoon. Per forza che poi uno scappa a Los Angeles: «In Italia non posso stare solo, giro sempre con Vasco Rossi. È straordinario, ma alla fine è complicato anche andare a comprare una maglietta».
La sua non è la fuga facile di chi ha perso fiducia nell’Italia ma ha le spalle coperte. «Siamo un bellissimo Paese di sole e cultura. Dovremmo essere orgogliosi di questo e smetterla di misurarci con quello che non siamo e di confrontarci con il Nord Europa dove tutto funziona bene». Un ottimismo quasi renziano. Tempo fa disse che il premier era una speranza. «Adesso dico che è l’ultima speranza per la sinistra. È giovane e ha energia. Ma il voto, diceva mio nonno, è segreto. Preferisco non occuparmi di politica. Quella affronta i problemi, la musica deve portare gioia», dice lontano dai microfoni.
Renzi ha rottamato la politica: se arrivasse qualcuno che vuole fare lo stesso con Vasco e il «vecchio» rock? «Che si faccia sotto... Non basta diventare ricchi cantando in un microfono, un musicista deve vivere su un palco», ridacchia. Lui riempie gli stadi, l’album «Sono innocente» è cinque volte disco di platino, ma il genere non sembra godere di ottima salute. «Il rock sta bene e non morirà mai. Anche se l’espressione di oggi, soprattutto fra i giovani, è l’hip hop. Lo dico scherzando, ma il primo rap della storia è “Fegato spappolato”. Comunque a me i rapper piacciono: Marracash è il mio preferito e stimo anche J-Ax e Fibra». Sì, anche quel Fabri Fibra che i suoi fan hanno preso di mira sui social perché nelle rime di «Come Vasco» immagina la vita del Komandante fra alberghi di lusso e stadi riempiti schiacciando un tasto. «Non mi sono offeso, non ha detto che Vasco è un pirla. Anzi, la canzone mi è piaciuta, l’ho presa come un omaggio. Quel tasto, infatti, non è così facile da trovare». Risponde anche a chi gli chiede del Papa: «Vuole portare la Chiesa sulla strada della semplicità e della povertà ma non ce la farà... La Chiesa costa... Però è simpatico e ha dato un’impronta nuova».
Vasco prende fiato. Sul tragitto tra una radio e l’altra cita Freud e le sue teorie sul senso di colpa per spiegare l’ultimo singolo «Sono innocente ma...»: «Ci fosse una pastiglia contro il senso di colpa avrei risolto i miei problemi. La musica è la mia autoanalisi e sarà così fino a che non tirerò le cuoia». Quelli del suo staff fanno scongiuri. «Mi sono sentito morto già due volte. La prima nel 1984 con l’arresto (detenzione di droga, ndr ): 22 giorni di carcere di cui 5 in isolamento: la carcerazione preventiva è una vergogna. Sono risorto superando l’idea che potevo vivere solo da rockstar, andando al massimo ma anche a rotoli. Ci ho messo un anno a disintossicarmi da sostanze e farmaci».
C’è stato un secondo faccia a faccia con la parola fine. «Nel 2011, quando ho passato tre giorni in coma per un batterio killer. A questo punto mi sento come quello che canta Jovanotti: un immortale». Nessuna paura che la terza volta possa essere quella definitiva? «No. Nessuno partecipa alla propria morte. Però ho paura della sofferenza».