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 2015  aprile 16 Giovedì calendario

La versione di Romano Prodi: «Silurato per il Colle perché mi temono. Renzi? Mi offrì l’Onu». In un libro-intervista con Marco Damilano le rivelazioni dell’ex premier sulla sua mancata elezione al Quirinale, i rapporti, critici, con il leader del Pd: «L’idea del partito della Nazione non è compatibile col bipolarismo»

Nove settimane e mezza dopo la fine della grande corsa per il Quirinale, Romano Prodi racconta come gli è sfuggita la poltrona che avrebbe concluso degnamente il suo straordinario cursus honorum, la casella che mancava dopo la cattedra, l’Iri, il ministero, Palazzo Chigi e la presidenza della Commissione europea. Lo fa con un libro-intervista (Missione incompiuta, a cura di Marco Damilano, Laterza, 192 pagine, 1-2 euro) in cui ripercorre la sua carriera politica – rivelando che Bossi fu il primo a proporgli all’inizio degli anni Novanta un impegno politico nazionale, naturalmente nella Lega, e che ci fu un tempo in cui Beppe Grillo gli sottoponeva in anticipo i copioni dei suoi spettacoli – e alla fine arriva alla vicenda Quirinale, dall’agguato dei 101 franchi tiratori del 2013 alla sua esclusione dalla rosa di Renzi. Ecco alcuni brani del libro.

I 101 ERANO 120.

«L’esito del voto segreto lo avevo rigorosamente previsto, anche se con qualche voto negativo in meno (…) Nessuno può notare alcun cambiamento nei miei comportamenti dopo il voto dei 101 che, in realtà, sono stati quasi 120 (…). So di aver ricevuto un concreto numero di voti sparsi qua e là al di fuori del Pd, tra centristi, grillini e truppe sparse. E so che hanno votato per me un certo numero di miei antichi studenti (…). Molti hanno paura di votare per me. Hanno bisogno di qualcuno che garantisca una “controllabilità” assoluta. Io la controllabilità non la garantivo e non la garantisco né al Pd né a Forza Italia e neppure ai grillini».

L’OFFERTA DI RENZI
«Nel lungo e cordiale incontro con il presidente del Consiglio che c’è stato il 15 dicembre (…), riguardo all’elezione del presidente della Repubblica Renzi si e limitato ad anticiparmi che il Pd avrebbe votato scheda bianca nelle prime tre votazioni e poi avrebbe preso le opportune decisioni. Ha poi gentilmente fatto cenno ad una mia possibile candidatura per la prossima segreteria delle Nazioni Unite. L’ho ringraziato, ma ho fatto presente la sostanziale impossibilità di realizzare questa proposta, sia per l’età che avro quando questa carica così impegnativa diventerà vacante (77 anni), sia per il forte supporto politico di cui godono altri candidati, che già si stanno attrezzando».

L’ULIVO E IL PD

«Senza l’Ulivo non ci sarebbe stato il Pd. In questo senso si può dire che il Pd ne e figlio. Un figlio che ne ha ereditato l’obiettivo di mettere insieme tutti i riformismi. Questa è l’eredità dell’Ulivo, ma il Pd la valorizza a giorni alterni. Può essere un’interpretazione dell’Ulivo affermare che i sindacati non vanno ascoltati e che tutti i corpi intermedi, nessuno escluso, vadano distrutti o indeboliti?». «L’idea del Partito della Nazione non è compatibile con il bipolarismo. È una contraddizione in termini. Nelle democrazie mature non vi può essere un Partito della Nazione».

I MIEI NEMICI

«Molti dei nostri leader non credevano minimamente nella nostra vittoria. Ho sentito con le mie orecchie da dietro un paravento la frase “Lasciali andare quei due lì, che vanno a sbattere”, pronunciata da uno dei massimi dirigenti nei confronti miei e di Walter Veltroni». «Gargonza è stato un evento drammatico (…) D’Alema diede battaglia in modo esplicito, fu un discorso che aveva l’obiettivo di dividere. (…). C’era una sola spiegazione: era nata la paura che il governo potesse durare a lungo e permettere perciò la nascita del partito dell’Ulivo. (…) Ma se ci avesse lasciato governare per cinque anni, penso che sarebbe stato proprio D’Alema il naturale e duraturo successore».

IL GOVERNO D’ALEMA

«Io mi sono completamente messo fuori dal gioco e alla fine ho trovato normale che arrivasse D’Alema (…). Lui aveva più probabilità, rispetto a me, di formare una maggioranza che comprendesse anche Mastella». (Subito dopo, Prodi venne nominato presidente della Commissione europea). «D’Alema fu molto attivo: si malignò che così mi levavo di mezzo, ma non ho mai creduto a questo (…). La mia chiamata a Bruxelles non fu opera italiana, ma una proposta di Schroeder, appoggiata da tutti coloro con i quali avevo lavorato in precedenza a partire da Kohl, Chirac e Blair».

LA SCONFITTA

«L’Ulivo non ha fallito. È stato sconfitto (…). La debolezza dell’Ulivo fu quella di non rafforzare adeguatamente l’aspetto organizzativo- partitico, per cui alla fine i vecchi partiti e le vecchie correnti ne hanno indebolito le radici. Un errore grande. Il mio personale errore politico che oggi mi rimprovero è di non aver deciso di costruire un partito veramente nuovo, che si fondasse su queste basi. Lo si doveva lanciare dopo la notte delle primarie del 2005. (…).Lo riconosco, è stato il mio errore più grande, ma solo visto a posteriori».

BERLUSCONI ADDIO?

«Non vedo ancora l’uscita di scena. (…) L’indebolimento di Berlusconi è una forte assicurazione per la vita del governo. La sua scomparsa gli creerebbe troppi problemi».