Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 16 Giovedì calendario

L’Europa contro Google. Il colosso della Silicon Valley, leader mondiale nei motori di ricerca su Internet, è formalmente accusato di abuso di posizione dominante. Secondo Bruxelles ha violato le leggi antitrust. Riesplode una guerra delle regole tra le due sponde dell’Atlantico, 11 anni dopo la storica sanzione che la Commissione Ue impose alla Microsoft

L’Europa contro Google. Il colosso della Silicon Valley, leader mondiale nei motori di ricerca su Internet, è formalmente accusato di abuso di posizione dominante. Secondo Bruxelles ha violato le leggi antitrust. Riesplode una guerra delle regole tra le due sponde dell’Atlantico, 11 anni dopo la storica sanzione che la Commissione Ue impose alla Microsoft, quando era responsabile del mercato unico Mario Monti. Ora alla guida dell’antitrust c’è Margrethe Vestager, una danese di 47 anni, che in questi giorni è in viaggio proprio qui: si sta alternando fra Washington e New York per una serie di incontri con le authority antitrust americane. Spesso, ormai, considerate meno aggressive di quelle europee: anche perché i “campioni” dell’economia digitale hanno quasi tutti la sede qui negli Stati Uniti. (Ma sono americane anche alcune delle “parti lese” che hanno attivato i ricorsi a Bruxelles).
L’accusa della Vestager si concentra, per ora, sui servizi di acquisto comparativo: quelli che consentono al consumatore di farsi rapidamente un’idea sulle varie offerte del prodotto che sta cercando. Il motore di ricerca Google, secondo la Commissione Ue, «dà un vantaggio sleale al servizio Google Shopping» e a scapito dei concorrenti. Violando le regole europee sul mercato. È dal 2008, secondo l’istruttoria europea, che Google privilegia sistematicamente i propri servizi di vendita. Il consumatore va su Internet per trovarvi un accesso trasparente, equo, a tutto ciò che esiste in rete. In realtà la sua “esperienza online” è una cosa molto diversa da quel che crede. Ci avverte – ammesso che arriviamo a leggerlo – solo un piccolo avviso scritto a caratteri non proprio cubitali, in fondo alla pagina d’ingresso di Google Shopping che ci mostra i prodotti. Eccolo: «Google viene remunerato da questi rivenditori. Il pagamento è uno dei fattori che influenzano la graduatoria del risultato». Dunque quel che vediamo non è il meglio offerto sul mercato al minor prezzo: è pubblicità a pagamento.
Questi siti di shopping comparato, dove i venditori pagano per avere visibilità, sono un misto tra le Pagine Gialle e un vasto centro commerciale, col vantaggio di una velocità di scelta impareggiabile nel mondo della vecchia distribuzione. La commissaria Vestager fonda la sua accusa su alcuni dati oggettivi come «i tassi di crescita molto superiori di Google Shopping rispetto ai concorrenti». Tra questi ci sono degli europei come il sito inglese di shopping Foundem, ma anche tanti americani come Microsoft (motore di ricerca Bing e assistente digitale Cortana) che nel loro paese non hanno avuto altrettanto ascolto presso l’antitrust. Google ha dieci settimane per preparare la sua risposta. Nell’ipotesi più estrema, Bruxelles può infliggerle sanzioni fino al 10% del fatturato. L’anno scorso il volume di entrate di Google è stato di 66 miliardi di dollari, se arrivasse una multa di un decimo sarebbero 6,6 miliardi. Un multiplo di quella che Monti affibbiò a Microsoft (mezzo miliardo di euro ai valori del 2004). E la Vestager ha in serbo altre indagini, per esempio sui servizi di viaggi, dove Google è in diretta concorrenza con delle società specializzate, quasi tutte americane come Expedia, Yelp, Tripadvisor.
Una prima risposta, Google l’ha data ieri sul proprio blog aziendale a firma di Amit Singhal, vicepresidente responsabile del motore di ricerca: «Siamo in forte disaccordo». Tra i suoi argomenti guarda lontano e cioè a settori che vanno oltre la prima accusa Ue. Spiega che i gruppi concorrenti nel settore viaggi come Expedia e altri stanno facendo affari a palate, nelle dinamiche del mercato non c’è traccia del presunto danno che Google gli avrebbe inflitto. Un discorso analogo, Singhal lo fa riguardo ad alcuni siti d’informazione. Prendendo a esempio il giornale inglese The Guardian e il magazine tedesco Bild, il top manager di Google indica che la maggioranza dei lettori va a consultare quei siti direttamente e non passando at- traverso il motore di ricerca californiano. Google mette in evidenza il flusso d’innovazioni che hanno per protagonisti alcuni gruppi europei come l’editore multimediale Axel Springer (quello della Bild). Sottolinea inoltre che la ricerca online si sta spostando dai computer agli smartphone, dove Google deve vedersela con concorrenti agguerriti come l’assistente digitale Siri di Apple. Infine ci sono i mega-negozi online, da Amazon a Ebay, anche questi in ottima salute. Il lungo intervento di Singhal sul blog dipinge un paesaggio dove non manca la concorrenza. Neppure nel Vecchio continente, benché gli utenti europei siano paradossalmente molto più Google-dipendenti degli americani: a casa propria, infatti, la multinazionale di Mountain View non raggiunge quel 90% di quota di mercato che ha tra gli europei. La risposta sul blog di Google è solo una prima raffica di argomentazioni, a cui seguiranno i dossier dei grandi studi legali.
La partita sarà avvincente, il precedente storico di Microsoft getta un’ombra sinistra sul quartier generale di Googleplex nella Silicon Valley. Dopotutto – e anche se questo non indica un nesso causa-effetto – la sanzione di Monti nel 2004 coincise con l’inizio del tramonto di Microsoft, oggi confinata in un ruolo di comprimario rispetto ai nuovi Padroni della Rete che sono Apple, Google, Amazon, Facebook. Una sconfitta definitiva a Bruxelles, potrebbe innescare dinamiche analoghe? Di certo un osservatore molto interessato è Mark Zuckerberg fondatore e chief executive di Facebook. Una delle sfide più attuali verso il dominio di Google viene proprio dai social media come il suo che sono diventati un luogo dove ci si comunicano gusti, preferenze, scelte di acquisto. Di lì a fare clic sul prodotto da comprare, il passo successivo è già realtà.