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 2015  aprile 15 Mercoledì calendario

Gli ottant’anni di Gianni Letta, il giornalista prestato alla politica. Dalla direzione del Tempo al ruolo-chiave nelle istituzioni

Gli ottant’anni di Gianni Letta arrivano inaspettati e all’improvviso. E sì che c’era d’aspettarselo per uno come il sottoscritto che è più ottuagenario di lui ma, per vezzo, oltre che per amicizia e colleganza, si fingeva e vantava suo coetaneo.
Gli è che Gianni, questo inossidabile e non invecchiabile «giornalista prestato alla politica» come ama definirsi, ha sempre mantenuto di sé lo smalto di una immagine verdeggiante, oltre che volitiva e sgobbona. Nonostante (o proprio per) l’importanza dei ruoli che nella sua doppia vita, giornalistica e istituzionale, ha ricoperto col dono della discrezione, della affabilità, del buon rapporto con tutti, anche con i nemici. Se non avesse scontato il Berlusconi di cui fu plenipotenziario a Palazzo Chigi, anche molti dei suoi nemici non nemici l’avrebbero voluto al Quirinale, e nessuno – c’è da giurarlo – sarebbe stato più super partes di lui.
Dell’ultimo politico disinteressato della politica, che non ha mai voluto essere eletto in Parlamento, e del direttore di cui non sempre nella nostra lunga coabitazione in questo giornale condividevo il garbo e la prudenza, dicevo che Angiolillo e Berlusconi dichiaravano le guerre e lui firmava gli armistizi.
Quando al Tempo, con la morte del suo fondatore nell’agosto del 1973, ci fu il primo e più importante trapasso editoriale con l’avvento dell’allora ex corrispondente da Avezzano diventato segretario di redazione e direttore amministrativo, un avvento «provvisorio» che durò 15 anni, trapassò anche il modo di concepire e fare il giornale. Tanto sfaccimme, disturbatore, talvolta doppiogiochista quello di Angiolillo, quanto perbenista, accomodante (però mai sui princìpi), corretto e «soccoritore» quello di Letta. La differenza, ho scritto in un mio libro-amarcord, che passa tra un bracconiere e un crocerossino.
Confesso che a me, irregolare come sono, le canagliate erano più congeniali dei rispetti. Pansa dice che quello giornalistico non è un club di gentiluomini. Però devo ammettere che fu Letta e il suo lettismo a salvare il Tempo dal tracollo economico (Angiollilo era un gran signore spendaccione) riposizionandolo su posizioni moderate con il determinante aiuto di quell’impresario-mecenate che fu Carlo Pesenti e che Gianni «conquistò» quando, per distrarsi da un grave lutto di famiglia, si immerse anche in un doppio impegno come portavoce dei Cavalieri del Lavoro.
Lui, per altro, così cauto e premuroso in soccorso degli altri, politici o no, amici o no che fossero, di coraggio fisico ne aveva da vendere. Nei giorni torvi e plumbei del terrorismo rosso, fu l’unico direttore ad aver rinunciato a una scorta. Con la sua Mini Morris, era il primo ad arrivare a Palazzo Wedekind e di notte era l’ultimo ad andarsene, sempre da solo. E sì che Il Tempo, rigorosamente antitrattativista, era nel mirino più degli altri quotidiani.
Durante il sequestro del magistrato Giovanni D’Urso, nel dicembre 1980, si spezzò il fronte dell’intransigenza. I rapitori pretendevano, pena la vita dell’ostaggio, che si pubblicassero i loro comunicati manicomiali. Gianni tentennò, ma non li pubblicò. Tentennò non per paura, ma per pietà. Lo aveva sconvolto la moglie del rapito. «L’ho incontrata – ci disse – mi sembrava già di sentirmi maledire da una vedova...». Fui tra quelli che lo incitarono a resistere. Resistette al se stesso impietosito. Anzi mi commissionò un editoriale col titolo «Staccare la spina» che parafrasava il McLuhan del «villaggio globale» per indicare nel silenzio stampa la prima arma da usare contro il terrorismo, che, essendo propaganda armata, deve farsi raccontare per non farsi temere. Purtroppo, la ragion politica più spregiudicata e impellente della ragion giornalistica, gli ha impedito di usare eguale fermezza, da sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nel rapimento Sgrenna che causò la morte del commissario Calipari. Anche in quel discusso caso, però, soccorreva qualcuno: una avversaria politica.
Auguri a questo giovane ottuagenario, e speriamo che il paese torni ad aver bisogno di lui.