La Stampa, 15 aprile 2015
Mosca vuole andare sulla Luna e Washington su Marte. Come negli anni 60 Usa e Russia si sfidano di nuovo per colonizzare lo spazio. Con un Putin punta a riaccendere lo spirito kennediano
I russi vogliono la Luna. Il capo dell’agenzia spaziale nazionale Igor Komarov ha annunciato ieri che nel 2029-30 i russi faranno quello che non erano riusciti a compiere negli Anni 60, mettendo piede sul satellite della Terra. E nel frattempo, già quest’anno, la Russia dovrà conquistare «posizioni di leadership» nell’esplorazione della Luna e di Marte, quest’ultimo finora esclusiva quasi totale degli americani. La competizione spaziale è tornata, ingrediente obbligatorio di una guerra fredda. Nel 2024 la Russia progetta di «divorziare» dalla Iss, la Stazione spaziale internazionale che doveva segnare l’inizio dell’era della cooperazione, e rimettersi in proprio con moduli lunari, satelliti, stazioni e infine voli sulla Luna. Che saranno solo l’inizio di una nuova espansione territoriale russa: «Andremo sulla Luna per restarci per sempre», prometteva già un anno fa Dmitry Rogozin, il vicepremier responsabile del settore bellico e aerospaziale.
I guai del super-razzo
Non è una coincidenza che la colonizzazione lunare sia stata proposta al pubblico per la prima volta pochi giorni dopo l’annessione della Crimea, e che Rogozin – ex leader di un partito ultranazionalista – ne abbia parlato come di una necessità «spirituale» per una nazione che non voleva più avere confini (e che nel 2030 potrebbe avere ancora lo stesso presidente). Il vicepremier però ha dovuto ridimensionare i suoi sogni qualche mese fa, ammettendo che prima «bisognava fare bene i conti». Ma ora che la crisi economica in apparenza ha superato il punto critico, il programma lunare è stato portato sul tavolo di Vladimir Putin.
Il primo passo sarà il lancio, nel 2024-5, del nuovo vettore super-pesante Angara 5B, ancora piuttosto lontano dal collaudo, e una serie di test fallimentari di prototipi di missili rende scettici molti esperti. Il decollo è previsto dal cosmodromo Vostochny, in costruzione in Estremo Oriente dopo che Mosca ha deciso che l’affitto dello storico Baikonur nelle steppe kazake non poteva durare in eterno.
Il nuovo cosmodromo
Ma proprio il cantiere del Vostochny negli ultimi giorni è diventato un dossier scottante per il Cremlino. Dopo che Rogozin aveva riferito a Putin che il grosso dei lavori erano stati completati, gli operai hanno lanciato uno sciopero della fame perché non vengono più pagati. Sul tetto delle baracche gli operai hanno scritto «Egregio Putin V.V. Salvaci. Vogliamo lavorare. 4 mesi senza salario». Dal cantiere che Putin ha ordinato di completare per dicembre arrivano notizie di disordini, risse e operai in fuga. Uno dei responsabili è già stato arrestato per non aver pagato i dipendenti, ma la situazione resta rovente, e gli operai rimasti intendono mettersi in contatto con il presidente durante la sua annuale diretta tv domani, per una protesta pubblica.
Anna Zafesova
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Nel romanzo – purtroppo poco noto in Italia – Nelle trincee di Stalingrado (Castelvecchi) lo scrittore Viktor Platonovich Nekrasov immagina i tormenti di un ufficiale russo, Geórgi Akímovich, «innamorato della sua fabbrica», costruita con le proprie mani, bullone per bullone, che deve distruggere perché non cada in mano ai nazisti. Akímovich litiga con tutti sui pro e contro della tecnologia sovietica, la critica preoccupato, ma sperando sia la migliore. Il paradosso tra patriottismo e senso di inferiorità nella sfida tecnologica all’Occidente, fa parte del Dna di Mosca da secoli. Anche il sonnolento Oblomov del romanzo di Goncharov viene contraddetto dall’iperdinamico amico Stoltz che lo vorrebbe più attivo, e non c’è dubbio da che parte stia il leader russo Vladimir Vladimirovich Putin nella disputa. Per lui la nuova Russia deve bandire il languore romantico di Oblomov e i dubbi di Akímovich, puntando sulla fierezza del paese che per primo, con il bonario Yuri Gagarin, mise un uomo nello spazio.
Poca voglia di spendere
Come ribatte la scettica, disincantata, divisa in politica e frantumata sui social media America di Barack Obama a Putin che, fresco dall’aver venduto i missili anti-aerei S-300 all’Iran, parla fiero di «nuovo programma spaziale»? Gli americani non hanno una tradizione dubbiosa sulla tecnologia made in Usa, anzi. Mark Twain nella fiaba «Un americano alla corte di Re Artù» maliziosamente oppone l’ingegno yankee, capace di costruire a mani nude, all’oscurantismo medievale europeo. Oggi invece la Nasa deve mendicare fondi, solo il 22% degli americani chiede che il bilancio dell’Agenzia spaziale sia incrementato, scema la fede dei giorni di Kennedy nella «nuova frontiera» del cosmo, mentre in Russia il 47% dichiara che ogni rublo investito nello spazio è benedetto.
Nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione, il presidente Obama ha deliziato i fedeli dello spazio citando la Nasa in due passaggi, elogiando il comandante Scott Kelly per la sua missione di un anno, e aggiungendo a voce sul testo preparato, un «Siamo fieri di lei» che da tempo non si sentiva.
L’agenzia Novosti assicura che, malgrado tagli e inflazione del rublo, il Cremlino non verserà meno di 3.400 miliardi di rubli (57 miliardi di euro) per la corsa allo spazio. Obama non riesce a persuadere il riluttante Congresso che gli elettori davvero siano ansiosi di spendere più dollari per i progetti in corso, per esempio un uomo in orbita intorno Marte entro il 2030. La missione dovrebbe durare circa tre anni, tra viaggio e sosta sul pianeta rosso, preceduta da lunghe prove generali in orbita lunare.
Come negli Anni 60
Il dibattito sulla missione organizzato dal sito Slate si divide subito: meglio astronauti donne, consumano meno calorie e pesano meno, come non fare annoiare l’equipaggio durante il volo, si deprimeranno i piloti non vedendo più la Terra che tanto inebria George Clooney in «Gravity»? E infine la legge internazionale permette o no di «comprare» un asteroide, ai cittadini o alle aziende? America 2015, poco romantica, molto litigiosa, tanto affaristica, troppo narcisa. Per svegliarla, come negli anni 60, ci vorrà un successo russo dei nipoti di Geórgi Akímovich: vediamo se Putin ci riuscirà.
Gianni Riotta