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 2015  aprile 15 Mercoledì calendario

Massimo Bubola, da Fabrizio De André alla Mannoia: «Non seguo le mode, mi do al folk». Il musicista canta brani della Grande Guerra nell’album “Il testamento del capitano”. «L’Italia pensa solo al pop ed è poco attenta alla cultura tradizionale, peccato»

L’operazione culturalmente più affascinante che un autore di canzoni vuol perfezionare oggi nell’asfittico panorama musicale italiano è quella di incidere un disco di canzoni folk. Un genere quasi dimenticato.
Ebbene, Massimo Bubola, cantautore e poeta, grande scrittore di brani per sé e per altri – ricordiamo Don Raffaè e Fiume Sand Creek cantate da Fabrizio De Andrè e Il cielo d’Irlanda per Fiorella Mannoia, tre canzoni che da sole valgono una carriera – ha rivisitato le note della Grande Guerra nell’album Il testamento del capitano. Un progetto nato a distanza di nove anni da Quel lungo treno e nel centesimo anniversario dell’inizio del primo conflitto mondiale (scoppiò nel 1914 ma l’Italia rimase neutrale fino all’anno dopo). Con il cuore di chi ricorda quell’epoca e l’animo della persona sensibile alle tradizioni folk e culturali, Bubola ha ripreso e riarrangiato brani come quello che dà il titolo all’album, Ta pum, Sul ponte di Perati, Monti Scarpazi, Bombardano Cortina, La tradotta aggiungendo poi nuove ballate che, nei testi e nelle sonorità, riprendono il tema della Grande Guerra come: Da Caporetto al Piave, L’alba che verrà, Neve su neve, Vita di trincea. Completano il disco due composizioni dello stesso Bubola: Rosso su verde e Noi veniam dalle pianure, cantate dal coro ANA-Milano, diretto dal maestro Massimo Marchesotti.
Bubola, 61 anni, nato a Terrazzo, tradisce un forte accento veneto quando ci racconta come è nato questo progetto: «Alla Grande Guerra sono legato da ricordi lontani nel tempo. Molti di questi brani li conoscevo fin dalla più tenera età, sono stati il mio primo approccio con la musica, li cantavo con papà, con il nonno… Tante volte mi è stato chiesto perché io ami riproporre o scrivere canzoni sulla guerra e in particolare sul primo conflitto mondiale; poi ho capito che mi è rimasto dentro un imprinting fin dagli anni in cui ero bambino». Il primo ricordo musicale della Grande Guerra è legato al periodo felice della collaborazione tra Bubola e Fabrizio De André, a fine anni ’70: «La prima canzone connessa con questa tematica fu Andrea, che De André inserì nell’album Rimini. Ma non ho mai abbandonato l’idea di rifarmi alla nostra tradizione folk. L’Italia è diventata negli ultimi anni un paese molto pop e poco attento a operazioni discografiche come le mie nelle quali si canta senza pensare al facile successo». L’esatto contrario di quello che succede oggi nella musica. Il Testamento del Capitano è una risposta a un mondo musicale nel quale conta l’apparenza: «Ho voluto unire canzoni tradizionali, che hanno cento anni, con altre nuove che hanno pochi mesi di vita, un po’ come in un film si accostano flash di repertorio e immagini nuove, sotto un’unica regia».
Bubola insegue, con il suo lavoro, anche un obiettivo pedagogico: «Queste sono canzoni che ho voluto riportare a una visione individuale, visto che oramai sono da sempre un repertorio corale. Il Testamento del Capitano è un’altra tappa del mio lungo lavoro di rivisitazione e riscoperta delle radici musicali e letterarie del folk. Purtroppo, in Italia, verso questo tipo di musica c’è un costante maccartismo. In paesi come l’Inghilterra, l’Irlanda e Francia il folk fa parte della cultura e viene amato dai giovani. Qui avete mai sentito una radio che trasmette una canzone come Ta pum?».