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 2015  aprile 15 Mercoledì calendario

Ancora sbarchi di migranti, ancora morti, ma questa volta ci sono anche gli spari. Ecco la situazione nel Canale di Sicilia. I colpi in aria dei libici per intimidire le navi italiane e quel barcone scomparso con a bordo quattrocento persone

Morti finiti in pasto agli squali, arresti di scafisti, un esodo che sembra inarrestabile. Da inizio anno siamo già oltre 21.500 immigrati sbarcati in Italia o in procinto di farlo. 833 in più rispetto all’anno scorso, Se questa è la media, chiuderemo l’anno ben oltre i 150.000 arrivi del 2014. In queste ore si combatte a terra, per «respingere» le accoglienze decise dal Viminale nelle diverse regioni (recalcitranti) e si spara in mare. Come è accaduto lunedì pomeriggio a cinquanta miglia dalla costa libica. E bisogna registrare il timore di una nuova tragedia: alcune testimonianze raccolte a Reggio Calabria, da profughi appena sbarcati, parlano di un naufragio con quattrocento morti. Ma le motovedette mandate sul posto finora non ne hanno trovato tracce.
Si spara in mare
Dunque, gli spari in mare. Corno d’Africa, Somalia: i barchini veloci dei pirati armati di fucili assaltano e sequestrano le petroliere. Sembra di rivedere una scena di “Captain Phillips” con Tom Hanks. Solo che siamo nel Canale di Sicilia ed è successo veramente lunedì pomeriggio. Un mezzo veloce con (finti?) guardiacoste libici, comunque «trafficanti di uomini» per dirla con Frontex, ha attaccato un rimorchiatore italiano sequestrando una imbarcazione libica che aveva trasportato 250 profughi. Colpi in aria, inseguimento fin quasi nelle acque libiche poi inspiegabilmente la Marina militare ha lasciato andare il barchino con i pirati libici perchè si erano qualificati come guardacoste. Non ha neppure cercato di fermare e recuperare il peschereccio che era servito a trasportare 250 immigrati.
Sembra la trama di un film d’azione, il racconto di questo maledetto lunedì 13 aprile. A cinquanta miglia dalla Libia viene captata una richiesta di soccorso da un barcone stracarico di immigrati. Convergono un pattugliatore islandese, «Tyr», del dispositivo Triton, l’operazione internazionale di Frontex, la polizia di frontiera europea, e un rimorchiatore italiano, «Asso 21», che staziona davanti alle piattaforme petrolifere. Sono le 15.30 di lunedì pomeriggio. Si avvicina una piccola imbarcazione veloce con quattro uomini in tuta gialla armati di fucili e con la bandiera libica a poppa. I quattro sparano un paio di colpi aria, due libici saltano sulla imbarcazione che aveva trasportato gli immigrati, un altro colpo di fucile e il barchino veloce e il peschereccio si allontanano, l’uno a traino dell’altro.
L’intervento della Marina
Scatta l’allarme alla sala operativa delle Capitanerie di porto, a Roma. Una nave della Marina militare cerca di individuare i fuggitivi. Un elicottero intercetta le due imbarcazioni che si separano, cambiando rotta. A questo punto il mezzo della Marina militare deve decidere se inseguire il barchino veloce o il peschereccio che aveva trasportato i profughi. Sceglie il barchino, lo raggiunge e lo lascia andare dopo che i due uomini in tuta gialla si erano qualificati come guardacoste libici. Comportamento incomprensibile. A maggior ragione dopo l’episodio del 15 febbraio scorso quando, sempre nelle acque a ridosso della costa libica, gli uomini di un mezzo della Guardia costiera erano stati minacciati e hanno dovuto abbandonare un gommone appena sequestrato. Ma perchè non hanno cercato di bloccare il peschereccio?
Era stato il capitano di «Asso 21» a mandare a Roma una mail dettagliata nella quale ricostruiva quanto accaduto. Mentre stavano trasbordando i 250 immigrati, è arrivato un battello di sei metri battente bandiera libica, con 4 persone armate a bordo in tuta gialla. «Dopo aver iniziato a urlare contro gli immigrati hanno sparato due colpi di fucile in aria. Alcuni immigrati si tuffavano in mare e venivano subito recuperati. Due dei quattro libici in tuta gialla saltavano nel barcone esplodendo poi un colpo di fucile in aria a scopo intimidatorio e si allontanavano».
Il comandante islandese
Anche il comandante del pattugliatore islandese «Tyr» relazionava su quanto accaduto, trovandosi solo 0,7 miglia dal rimorchiatore italiano, e avendo a bordo altri 342 immigrati. «Abbiamo sentito due colpi di arma da fuoco. Da comunicazioni via radio con Asso 21 il natante era identificato come mezzo della guardia costiera libica». Dal Viminale sono partite richieste di rapporti dettagliati sull’accaduto e un quesito alla Farnesina: noi riconosciamo il governo di Tripoli? Quella motovedetta è tutelata dall’immunità di giurisdizione?