Corriere della Sera, 15 aprile 2015
Papa Giovanni XXIII e la crisi dei missili a Cuba del 1962
A proposito della crisi di Cuba del 1962, credo di avere letto da qualche parte che anche papa Giovanni XXIII si adoperò efficacemente per la risoluzione della crisi. È vero?
Calogero Chinnici
kalkinni@tiscali.it
Caro Chinnici,
Dopo avere letto la mia risposta sul governo Fanfani e la crisi dei missili cubani (Corriere del 10 aprile), Sergio Lepri mi ha segnalato una sua lunga conversazione con Ettore Bernabei, pubblicata in un libro apparso nello scorso novembre con un titolo sorridente e accattivante (Permesso, scusi, grazie). All’epoca della crisi, Lepri era direttore dell’Ansa e Bernabei, da un anno, direttore generale della Rai. Entrambi erano legati a Fanfani da una vecchia familiarità, ma Bernabei, nelle giornate più drammatiche del braccio di ferro tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, era a Washington per un incontro delle maggiori televisioni mondiali e un accordo con la Nasa. Nella sua conversazione con Lepri racconta di avere ricevuto una telefonata di Fanfani che gli ingiungeva di non lasciare Washington e di trasferirsi in un altro albergo dove avrebbe ricevuto notizie dal suo «portavoce».
Cominciò così una storia molto fanfaniana in cui il presidente del Consiglio, come gli accadeva spesso, preferì servirsi delle sue conoscenze personali e dei suoi canali confidenziali piuttosto che del ministero degli Esteri e dell’Ambasciata d’Italia a Washington. Bernabei ricevette la visita di un diplomatico americano, il «signor Lister», che avrebbe fatto da tramite per ogni eventuale comunicazione di Fanfani a Kennedy. A Roma, intanto, Fanfani aveva appreso da monsignor Dall’Acqua, sostituto segretario di Stato, che il Papa avrebbe probabilmente inviato un appello ai capi di Stato. Se vi fosse stato un appello papale, Fanfani avrebbe scritto al Papa che l’Italia era pronta a fare la sua parte rinunciando ai missili americani stanziati nelle Puglie; e questa disponibilità verosimilmente fu comunicata anche agli americani.
L’esortazione di Giovanni XXIII prese la forma meno solenne di una lettera personale al leader sovietico. Prima d’inviarla, tuttavia, fu deciso in Vaticano che sarebbe stato opportuno farla leggere da Kennedy. Entra in scena, questo punto, un altro mediatore. Era Norman Cousins, collaboratore della Saturday Review, pacifista conosciuto e stimato dai sovietici, promotore di un accordo per il bando degli esperimenti nucleari. Cousins fu invitato a Roma, tornò a Washington con la lettera, la dette in lettura al presidente americano e partì per Mosca dove la consegnò personalmente al segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Nella sua conversazione con Lepri, Bernabei racconta di avere incontrato alla Casa Bianca Arthur Schlesinger, consigliere di Kennedy, e di avere appreso che il presidente americano aveva tenuto conto della proposta di Fanfani.
Esiste ancora un punto, caro Chinnici, a cui non so dare risposta. Conosciamo il testo della lettera del Papa a Krusciov? Ne esistono almeno tre copie: in Vaticano, a Washington e a Mosca.