Corriere della Sera, 15 aprile 2015
Pesanti condanne ai mercenari Usa per la strage di 14 civili a Bagdad nel 2007. La sentenza è arrivata alla vigilia della visita alla Casa Bianca del premier iracheno Abadi. Una coincidenza. Ma anche un segno del destino in una storia terribile
La sentenza è arrivata alla vigilia della visita alla Casa Bianca del premier iracheno Abadi. Una coincidenza. Ma anche un segno del destino in una storia terribile: l’uccisione di 14 civili a Bagdad nel 2007. Eccidio compiuto da un gruppo di guardie private della Blackwater condannate lunedì da un tribunale statunitense. Un epilogo che accompagna il ricordo dell’invasione.
Le testimonianze non hanno lasciato attenuanti ai killer. Hanno sparato senza alcuna giustificazione sui passanti e hanno detto il falso: nessuno aveva aperto il fuoco contro di loro. Per questo il tribunale ha emesso un verdetto duro: l’ergastolo per l’ex cecchino dell’esercito Nicholas Slatten, 30 anni ai suoi tre compagni. Il quartetto faceva parte del convoglio Raven 23, un corteo di veicoli blindati che rientrava nella zona verde, la più protetta della capitale. Raggiunta la piazza Mansour, gli elementi della Blackwater hanno sparato con granate e fucili d’assalto contro tutto ciò che si muoveva, sostenendo che si trattava di una reazione a tiri dei ribelli. Pagano uomini, donne, bambini.
La strage è un episodio di atrocità gratuita. Ma anche la prova di come i «contractors», le migliaia di guardie usate dagli Usa su molti fronti di guerra, siano fuori controllo. Un esercito nell’esercito, pagato con milioni di dollari, che prende spesso il posto dei soldati per dare protezione a diplomatici, ambasciate, installazioni. Un grande affare dove pescano molte imprese, tra queste la Blackwater di Eric Prince.
È l’epoca dell’outsourcing, i servizi di sicurezza e molte attività sono cedute ai privati. Un fenomeno cresciuto a dismisura. Che, se giustificabile per molti aspetti, si porta dietro conseguenze a volte drammatiche. Come la carneficina del 16 settembre del 2007 a Piazza Mansour, una delle tante ferite nel complicato rapporto Usa-Iraq. Ecco perché il governo statunitense ha cercato una risposta ferma, da qui la sentenza arrivata dopo un’indagine non facile, a volte zoppicante. Con i quattro imputati, appoggiati da molti, determinati nella loro versione. «Dio mi è testimone», ha giurato Evan Liberty quando spiegava di aver sparato solo per difendersi. «So che sarò scagionato in questa vita e nella prossima», ha aggiunto Paul Slough. «Il verdetto è sbagliato», è stato il commento di Nicholas Slatten. Contro la loro parola, oltre a quella dei tanti iracheni che erano in strada quel giorno, si è pronunciato il loro collega, Jeremy Ridgeway. Ha patteggiato, ha evitato la condanna però ha deposto mettendo nei guai le altre guardie.
Gli accusati si sono difesi sostenendo che nessuno poteva capire cosa fosse operare nelle vie di Bagdad, tra agguati ed attentati dei qaedisti. Il giudice, un ex ufficiale, pur riconoscendo quel «clima» ha risposto: «La corte non può ignorare un comportamento ingiustificato». È rimasto molto lontano dall’aula il fondatore della Blackwater. Prince l’ha venduta da anni, ma lui continua a vendere sicurezza. I clienti non mancano.