Corriere della Sera, 14 aprile 2015
Addio a Günter Grass, il premio Nobel, che si arruolò nelle SS. Per una vita ha castigato con i suoi scritti e le sue parole il popolo tedesco, poi un giorno del 2006, in un’intervista, rivelò il segreto che lo divorava da quasi sessant’anni: era stato anche lui un nazista
Disse, nel 2006, che si era portato dentro «come una vergogna» per sessant’anni, con un «senso di colpa» inestinguibile, quell’inconfessato arruolamento nelle Waffen-SS, dove prestò giuramento a diciassette anni nel febbraio del ’45: non nell’esercito, ma nella milizia speciale del Reich hitleriano, «un’unità d’élite» colpevole di infiniti crimini.
Era il 2006 quando Günter Grass, prima in un’intervista e poi più distesamente nel libro Sbucciando la cipolla, decise di smetterla di raccontare bugie sul suo passato giovanile e di mettere a nudo il grande «segreto» tenuto nascosto per tanti anni. «Più venivo a conoscenza dei crimini delle Waffen-SS, più si aggravava la vergogna di averne fatto parte. Io so quali ferite il simbolo delle SS, il termine SS, riapra nella memoria di molti degli abitanti di Israele e devo accettare che la doppia S sarà per me il marchio di Caino fino alla fine dei miei giorni».
Probabilmente quella confessione tardiva non avrebbe suscitato tanto scalpore se non si fosse trattato di Günter Grass. «Il sismografo spirituale della Germania», come lo ebbe a definire Gian Enrico Rusconi, l’intellettuale che invocava il «perenne castigo del popolo tedesco», il sacerdote della memoria sfregiata, il maestro collocato su un «piedistallo etico» che denunciava senza sosta «il vergognoso passato nazionale, la vera ulcera della storia tedesca» e che continuava ad essere disonorato dalla rimozione e dalla cancellazione delle responsabilità di un passato mostruoso. Ma come Grass era lo stesso scrittore che impersonava «l’istanza morale» della Germania? L’uomo che denunciava la dimenticanza e le menzogne che i tedeschi hanno usato per autoassolversi e non fare i conti con se stessi, si trincerava dietro le stesse menzogne per nascondere il proprio, di passato? Lui, che aveva consigliato a Willy Brandt di inginocchiarsi contrito davanti alle rovine del ghetto di Varsavia stuprato dai nazisti, aveva consigliato a se stesso di addolcire il passato, di raccontare di se stessi una storia falsa ed edulcorata? Lo scrittore che si indignò nel 1985 perché durante una visita nella Repubblica Federale Tedesca l’allora presidente americano Ronald Reagan aveva reso omaggio assieme al cancelliere Kohl ai quaranta militari delle SS sepolti accanto ai soldati americani nel cimitero di Bitburg era forse lo stesso scrittore che nelle SS si era arruolato volontario quando, come sostenne Joachim Fest, ci si poteva arruolare «nella Wehrmacht per evitare di finire coscritti a forza nelle SS»?
Forse Grass non si aspettava l’uragano di polemiche che la sua confessione inevitabilmente provocò. Non si rese conto che a ad essere messa in discussione non era la confessione in sé, ma il fatto che nella sua figura di moralizzatore Grass aveva accusato la Germania della stessa mancanza di coraggio che lui aveva patito con se stesso.
Pochi anni prima, con il suo Passo del gambero, Grass aveva descritto le traversie della popolazione civile tedesca che subirono nelle zone orientali la furia vendicativa dell’Armata Rossa in marcia verso Berlino. Nessuno poteva immaginare che quel libro sarebbe stato l’antefatto psicologico della sua confessione. Il «marchio di Caino» non lo avrebbe più risparmiato. «Fino alla fine dei miei giorni», aveva detto Grass. E così è stato.