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 2015  aprile 14 Martedì calendario

Un cubano per il dopo Obama. La candidatura alla Casa Bianca di Marco Rubio rende euforici i repubblicani. Figlio di due profughi, il 43enne senatore della Florida, è un arciconservatore che piace alla destra dei Tea Party che vuole rilanciare il «sogno americano». Ma per farlo dovrà sfidare il suo mentore, l’uomo che gli ha insegnato tutto, Jeb Bush

Gli amici e i consiglieri che l’hanno seguito nella sua rapida ascesa politica sono soprannominati, nel partito repubblicano, «il club del 3%». Perché? Quando, sei anni fa, Marco Rubio sfidò l’allora potente governatore della Florida Charlie Crist nella corsa per il seggio senatoriale dello Stato, i sondaggi gli attribuivano appena il 3 per cento dei consensi. Tutti lo invitavano ad aspettare «il suo turno»: una storia per certi versi simile a quella del Matteo Renzi che si candidò sindaco di Firenze contro l’esponente ufficialmente designato dal suo partito.
E, come Renzi, Rubio sorprese tutti recuperando terreno con grande tenacia: il giovane che non accetta di mettersi in riga e alla fine batte l’avversario e l’ establishment con un messaggio basato sul cambiamento generazionale nella guida politica del Paese. I paragoni tra il premier italiano e il 43enne senatore della Florida che da ieri è il terzo candidato repubblicano alla Casa Bianca finiscono qui: Rubio è un arciconservatore che piace alla destra dei Tea Party, anche se non è sulle posizioni estreme di Ted Cruz, del radicale Rand Paul o del governatore del Wisconsin Scott Walker, anch’egli pronto a scendere in campo.
E poi, a differenza di Renzi, Marco Rubio, quando sfidò Crist, ebbe l’appoggio di almeno un personaggio di rango: quel Jeb Bush figlio e fratello di presidenti che era stato anche lui governatore dello Stato. Vero e proprio mentore di Rubio per oltre otto anni, Jeb ora si ritrova l’ex delfino trasformato in sfidante. Uno sfidante nel cortile di casa, visto che ieri questo figlio di due profughi cubani in fuga dalla rivoluzione castrista (barista il padre, cameriera d’albergo la madre) il suo annuncio lo ha fatto proprio in Florida. Al mattino l’incontro in un hotel coi possibili finanziatori della campagna e in serata l’evento pubblico per il quale Rubio ha scelto un palcoscenico suggestivo: la Freedom Tower di Miami, l’edificio sul porto dal quale sono passati i cubani accolti dagli Stati Uniti. Un luogo-simbolo di sofferenza ma anche di speranza per gli immigrati d’America, un po’ come Ellis Island a New York.
Rubio non ha un messaggio politico nitido e tagliente come quello di altri candidati della destra repubblicana: due anni fa appoggiò una proposta bipartisan per la regolarizzazione della posizione di 11 milioni di immigrati clandestini. Poi, davanti all’ostilità degli attivisti di destra per ogni sanatoria, si rimangiò quell’apertura, ma molti non hanno dimenticato quel suo «tradimento». Rubio non ha nemmeno le enormi risorse economiche necessarie per farsi conoscere per bene a livello nazionale: la potente macchina organizzativa della famiglia Bush gli sta facendo terra bruciata tutto intorno. E il senatore della Florida, abbastanza noto nel Sud, ha un bisogno disperato di diventare protagonista nei primi Stati nei quali si svolgeranno le primarie: Iowa, New Hampshire e Nevada, oltre al South Carolina.
Si può quindi essere tentati di considerare Rubio niente più che un outsider in un campo repubblicano nel quale, alla fine, si affolleranno almeno 12 candidati, dall’ex governatore del Texas Rick Perry all’ex capo della Hp, Carly Fiorina, passando per i «soliti noti» Mike Huckabee e Rick Santorum. Ma, appunto, gli analisti conservatori invitano a non sottovalutare le doti di lottatore di Rubio che nella sua ventennale carriera politica ha vinto tutte le competizioni elettorali alle quali si è presentato. Partendo sempre da outsider.
Stavolta, proponendosi come l’incarnazione del cambiamento generazionale, un leader che guarda al futuro con ottimismo per rilanciare il «sogno americano», Rubio ha messo nel mirino non solo la 67enne Hillary Clinton, ma anche il 62enne Jeb Bush. Un Bush che non può dare nulla per scontato, visto che l’affollarsi di candidati di estrema destra testimonia della radicalizzazione di un partito repubblicano i cui elettori (soprattutto quelli delle primarie, i più militanti) sono sempre più ostili all’ establishment conservatore.