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 2015  aprile 14 Martedì calendario

Genocidio, chiamare le cose con il proprio nome. Anche perché, a Roma, i compromessi non fanno una buona politica

Se si applicasse il metodo Gozi, i governi si occuperebbero di «guardare ai problemi di oggi» e i nodi irrisolti della storia sarebbero di competenza esclusiva degli storici. Resta da capire quale legittimità morale potrebbero avere leadership impegnate ad accantonare i sentimenti collettivi o che, come nel caso della Turchia, ignorano le colpe per cementare la loro identità. Nelle relazioni internazionali, invece, contano anche gli ideali. O almeno dovrebbero essere un punto di riferimento di quelle differenze in grado di fare emergere lezioni per il futuro. È difficile impedire che le tragedie si ripetano se non si usano le parole giuste.
Il sottosegretario agli Affari europei ritiene, a proposito del genocidio armeno, che non sia compito dei governi decidere cosa sia successo cento anni fa. Nessuno vuole invocare «verità di Stato». Ma decenni di proibizioni ci hanno imposto «contro-verità». Un milione e mezzo di persone furono eliminate. Lo stesso Hitler, nel 1939, si rallegrava del fatto che quanto era accaduto nell’Impero Ottomano fosse ormai sostanzialmente dimenticato. La questione armena ci richiama alla mente, soprattutto, un negazionismo governativo del quale il presidente turco Tayyip Erdogan è il più instancabile propagandista e che rappresenta, in sé, un ostacolo alla soluzione di quel «dialogo su democrazia, diritti umani  e minoranze» per il quale Gozi ricorda l’impegno italiano.
Siamo sicuri che questo dialogo possa andare avanti senza alzare mai la voce, come invece ha fatto domenica il Papa? Se è vero che c’è un futuro da costruire insieme, l’eccesso di compromessi è un rischio. Il ministro Paolo Gentiloni ha parlato di durezza ingiustificata da parte turca, preferendo però soffermarsi sulla reazione piuttosto che sulle dichiarazioni del Pontefice. L’Italia lavora in silenzio, l’importante è che non sia troppo cauta. Al Consiglio dei diritti umani, a Ginevra, è stata cosponsor, insieme agli altri membri Ue, di una risoluzione contro il crimine di genocidio presentata dall’Armenia. Un testo in cui le cose venivano chiamate con il loro nome.