la Repubblica, 14 aprile 2015
Ecco perché, anche se non è perfetto, l’Italicum va votato. Del resto, in materia elettorale peggiorare non possiamo. Mentre il meglio rischia di essere davvero nemico del bene
Napolitano coglie un punto centrale. Non approvare la legge elettorale nemmeno ora, all’ultimo miglio, vuol dire forse non approvarla mai più. Rinviarla alla frammentata aula del Senato è come ricacciarla nella palude di un’inconcludente trattativa che è stata per vent’anni la vera blindatura del “Porcellum”. Questo ovviamente non significa che l’Italicum sia la legge perfetta. Difetti ne ha e su queste pagine lo abbiamo più volte sottolineato. Soprattutto a carico della sua originaria versione che pure la Camera aveva approvato, con il voto favorevole anche di quanti oggi annunciano barricate proprio dopo che ne sono stati corretti gli aspetti peggiori, superando le liste bloccate e le inaccettabili soglie di sbarramento.
Quanto alla concentrazione del potere che il premio di maggioranza inevitabilmente comporta, è ai contrappesi costituzionali che si deve affidare ogni giusta e relativa esigenza.
E così oggi, come Napolitano ha sottolineato, l’Italicum migliorato è incommensurabilmente preferibile non solo alla legge porcata, ma anche al suo figlio degenere venuto fuori dalla sentenza della Corte costituzionale.
Basti pensare che non solo si supera l’obbrobrio delle liste bloccate, ma il ballottaggio ha il grande merito di escludere per sempre in futuro inciuci o basse intese, rafforzando l’alternativa tra forze riformiste e conservatrici; e per la prima volta si garantisce in Parlamento l’equilibrio di genere.
Per questo mettere un punto, segnare una svolta, strappare la pagina triste di un ventennio che ha squalificato la rappresentanza e la qualità della nostra democrazia è a ben vedere una priorità che deve avere agio anche sui margini di ulteriore miglioramento che pure l’attuale testo denuncia. Per non dire della intollerabile gravità costituzionale di un Paese che a tutt’oggi è persino privo di un sistema elettorale applicabile. Nessuno ricorda infatti che la Corte costituzionale nel chiudere la sua sentenza di censura del Porcellum e decidendo (con scelta invero non del tutto condivisibile) di non poter far risorgere il Mattarellum, sottolineava comunque la necessità che si approvassero subito le norme di raccordo, indispensabili almeno per la praticabilità dell’assurdo arlecchino che, nel rosario di disincantati latinismi, avremmo poi battezzato “Consultellum”. Ma nessuna norma di raccordo è stata approvata e così ancora ad oggi siamo una democrazia sospesa, priva di agibilità, impedita in radice a ridare la parola alle urne, pur dinanzi a qualsivoglia evenienza. Incredibile persino a dirsi. Anche per questo, ora che finalmente una riforma elettorale vede il traguardo, sarebbe inammissibile iniziare di nuovo da zero, in un interminabile gioco dell’oca.
Semmai, si palesano due clausole critiche di segno opposto a quelle impugnate dalle minoranze. Si tratta dei due codicilli che limitano l’applicazione della riforma alla Camera e ne rinviano l’efficacia al 2016. Come pure non mancherà di sollevare malumori istituzionali la previsione che introduce un sindacato preventivo quasi di ufficio dei giudici della Consulta.
Ma nemmeno queste clausole critiche renderebbero mai digeribile l’ennesimo stop con una perpetuazione dell’apnea del Porcellum e delle sue scorie. Se mai si può tenere insieme l’esigenza di mettere oggi un punto di svolta, evitando il devastante messaggio di inconcludenza che deriverebbe da un nuovo arresto alla Camera, ma rispondendo anche alla domanda di ulteriori miglioramenti all’Italicum.
Se fosse vero infatti che esiste una maggioranza parlamentare che può garantirli, non si evochi un ennesimo ping pong col Senato, ma intanto si approvi questo testo di svolta, si archivi il passato e poi si utilizzi al meglio un eventuale approfondimento che potrebbe richiedere Mattarella o ( ex malo bonum) la pur singolare finestra che rinvia l’efficacia della nuova legge al 2016.
Le appiccicose preferenze non dovrebbero, peraltro, essere la bandiera dei correttivi. Proprio in questi giorni di liste per le regionali, stanno confermando il loro inganno. I partiti assoldano cacicchi e potentati locali, i soli campioni di preferenze, che respingono una rappresentanza qualificata. Semmai, si dovrebbe agire riducendo l’ampiezza dei collegi così rafforzando la parte uninominale che l’Italicum già presenta. E legittimando ulteriormente il premio di maggioranza. La soluzione allora c’è per successive buone integrazioni. Ma non si spaccino oggi per miglioramenti ed ennesimi rinvii. Si segni piuttosto almeno il punto e a capo che attendiamo dopo anni di false promesse. Del resto, in materia elettorale peggiorare davvero non possiamo. Mentre il meglio rischia di essere davvero nemico del bene.