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 2015  aprile 14 Martedì calendario

Hillary Clinton e Janet Yellen, due signore che rappresentano il meglio dei “baby boomers”, dovranno risolvere la crisi più importante della superpotenza, una sfida su cui chiaramente sono già in sintonia: restituire dignità e reddito alla classe media americana

Due donne alla guida della potenza americana. Visto che Hillary Clinton è il candidato da battere, se vincerà la sua corsa per la Casa Bianca sarà affiancata da Janet Yellen, la Presidente della Federal Reserve, oggi la donna più potente d’America. Insieme queste due signore che rappresentano il meglio dei “baby boomers” dovranno risolvere la crisi più importante della superpotenza, una sfida su cui chiaramente sono già in sintonia: restituire dignità e reddito alla classe media americana. La Yellen, di estrazione democratica, come sappiamo è decisa a rilanciare i salari cercando la piena occupazione e per farlo è disposta a tenere i tassi di interesse bassi ad oltranza anche a rischio di un ritorno dell’inflazione. La promessa di Hillary Clinton sul piano economico è certamente la più importante, la più ambiziosa della sua agenda poggia sulle tesi di un fedelissimo alla sua “dinastia”, l’economista, ex ministro, Larry Summers, che ha inquadrato il problema in un lungo saggio scritto a più mani sulla necessità di avere una “prosperità inclusiva”. La tesi di Summers è che ci troviamo in una crisi strutturale, caratterizzata da una forte debolezza della domanda che di rimando porta a deflazione, le economie industrializzate come quella americana magari crescono, ma questo non si traduce negli aumenti del reddito reale per i lavoratori. Una spirale negativa dunque, un circolo “vizioso” diametralmente opposto al circolo “virtuoso” che l’America conobbe ai tempi della presidenza di Bill Clinton.
È dunque logico che su questo punto, sulla chiusura della sperequazione, Hillary fosse chiarissima. Risponde anche all’appello del Fondo Monetario Internazionale che agli incontri di primavera dibatterà come affrontare i tre mali non solo delle economie industrializzate ma ormai anche dei paesi emergenti: l’invecchiamento della popolazione, la caduta della produttività, una persistente deflazione. Toccherà a Hillary imporre la visione agli americani per superare questi problemi “secolari”. Il problema per lei sarà quello di cavalcare il suo destriero elettorale senza rischiare di essere disarcionata, e non solo per gli attacchi dei repubblicani, ma per le pressioni in arrivo dall’ala sinistra del partito, forte e militante, che chiede aumenti delle tasse e l’introduzione di aliquote fortemente progressive, cosa che Hillary si guarderà bene dal sottoscrivere.
Come candidato la Clinton ha un vantaggio: per ora sembra essere l’unico democratico credibile per la nomination del suo partito. La sinistra vorrebbe alle primarie anche il senatore del Massachusetts Elizabeth Warren, ineleggibile per il grande pubblico, ma certamente in grado di disturbare l’agenda di Hillary. Che la situazione sia tesa è evidente. Proprio nel fine settimana, anzi subito dopo l’annuncio della sua candidatura, Hillary ha avuto la brutta sorpresa di una dichiarazione acida del sindaco di New York Bill de Blasio: «Per ora non mi sento di appoggiare Hillary Clinton, voglio prima vedere se includerà nella sua piattaforma aliquote altamente progressive per agevolare una vera redistribuzione del reddito», ha detto de Blasio, un esponente dell’ala più radicale del partito. «Una pugnalata alle spalle», come ha titolato ieri il New York Post a tutta pagina. Hillary in effetti non ha gradito. Ed è logico che fosse infuriata: Di Blasio non è solo il sindaco di New York – e dunque un simbolo americano per il partito democratico – ma è stato il manager della campagna elettorale della Clinton quando correva per il seggio senatoriale a New York. E diciamolo, se lo poteva risparmiare fare le sue dichiarazioni proprio nel giorno dell’annuncio della Clinton: dopo due anni di attesa non era comunque di ottimo gusto.
La partita elettorale economica è dunque insidiosa. Hillary dovrà promettere un recupero per la classe media senza dirottare troppo dal centro, un centro che oggi può a malapena accettare gli attuali livelli di carico fiscale. Avrà contro i repubblicani che proporranno la solita soluzione del supply side: diminuiamo le tasse, riduciamo il ruolo dello stato che produce inefficienza e e torniamo alla prosperità di stampo reaganiano. Il problema economico sarà centrale perché l’America è appannata nel suo ruolo di superpotenza globale anche per la sua classe media e per la sua spina dorsale debole. Già la crescita degli ultimi anni ha diminuito il clamore delle tesi che davano gli Stati Uniti in declino.
Ma per poter recuperare la sua credibilità primus inter pares fra i leader globali l’America dovrà dimostrare che la crescita dell’economia si è tradotta in benessere per la popolazione, con quel modello di democrazia che vorrebbe esportare e che altri definiscono obsoleto. E questa la vera sfida americana del nostro tempo e lo è non solo per i democratici e Hillary Clinton ma anche per i repubblicani e per chiunque sarà il loro candidato alla Casa Bianca.