14 aprile 2015
Le dimissioni dell’ultimo boiardo. Dopo i crolli e le polemiche Pietro Ciucci lascia la presidenza dell’Anas. Dall’Iri allo stretto di Messina fino alla buonuscita da 1,8 milioni di euro, ritratto del burosauro delle strade
Corriere della Sera
«È il mio ministro che deve decidere: andarmene senza una richiesta sarebbe irresponsabile». Meno di 15 giorni fa Pietro Ciucci, presidente dell’Anas la società dello Stato che gestisce la rete stradale ed autostradale d’interesse nazionale, rispondeva così a chi gli chiedeva se avrebbe lasciato dopo le dimissioni del secondo consigliere di amministrazione (su tre). Ma soprattutto dopo i numerosi crolli di strade e viadotti curati dalla società, su alcuni dei quali proprio ieri sera la trasmissione Report di Rai3 ha aperto uno squarcio inquietante.
Ieri dopo l’incontro con quello che nel frattempo è diventato il nuovo ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, al posto del dimissionario Maurizio Lupi, Ciucci ha rimesso «l’incarico di consigliere e di presidente di Anas a partire dall’assemblea degli azionisti per l’approvazione del bilancio 2014», che verrà convocata a metà maggio.
Se si dovesse stare alle affermazioni fatte dallo stesso Ciucci, dunque, se ne dovrebbe dedurre che le dimissioni gli siano state richieste dal ministro ieri mattina a Porta Pia, alla vigilia dell’assemblea di giovedì che avrebbe dovuto colmare le due assenze in consiglio.
Ma la versione affidata al comunicato è un’altra: «La decisione – si legge – è stata presa in segno di rispetto per il nuovo ministro al fine di favorire le più opportune decisioni in materia di governance di Anas». Quasi un passo indietro di cortesia istituzionale. Ma fonti del ministero si affrettano a fare sapere all’Ansa, a stretto giro, che si tratta di «una decisione condivisa e molto apprezzata che apre la strada a una nuova stagione per i lavori pubblici e per l’Anas, in sintonia con la discontinuità che si sta avviando anche al Ministero dei Trasporti». Dimissioni accettate, dunque, senza tentennamenti, dopo un incontro definito «franco».
Del resto negli ultimi tempi Anas ha dovuto rendere conto di una serie incredibile di incidenti. L’ultimo venerdì scorso sulla A19 Palermo-Catania, dove ha ceduto un pilone. Ma il film negativo parte da lontano, dal febbraio 2013 quando crolla di un pezzo del viadotto Verdura lungo la statale 115 tra Agrigento e Sciacca. E poi a luglio 2014 sulla statale 626 tra Campobello di Licata, Ravanusa e Canicattì, quando cedono le carreggiate di un ponte mentre sta passando una macchina.
Ma il caso più eclatante, messo a fuoco ieri sera da Report, è quello del viadotto Scorciavacche sulla statale Palermo-Agrigento, inaugurato alla vigilia di Natale scorso, con tre mesi di anticipo, e crollato dopo una settimana. Una vicenda cui il premier Matteo Renzi reagì chiedendo l’individuazione dei responsabili e su cui è in corso un’inchiesta. Ai primi di marzo crolla il viadotto Italia sulla Salerno-Reggio Calabria e muore un operaio. Oggi Delrio potrebbe farvi un sopralluogo.
«Il mio incarico scade fra un anno ed è sempre stato a disposizione. Io non resisto abbarbicato alla poltrona come l’ultimo dei Moicani» aveva detto Ciucci a fine marzo. Il governo ha tempo fino a metà maggio per ricostituire il consiglio completamente azzerato. Dal mondo della politica, che in passato non aveva lesinato sostegno al manager, ieri non sono arrivate dichiarazioni spontanee di solidarietà. Resta il commento di Alessandro Di Battista ( M5S): «Il filone iniziato con l’arresto di Incalza e le dimissioni di Lupi continua. È arrivata l’ora delle pulizie».
Corriere della Sera
«Non farò le barricate», diceva al Corriere una ventina di giorni fa, quando le dimissioni di Sergio Dondolini l’avevano lasciato solo al timone dell’Anas. E ieri Pietro Ciucci faceva sapere che la decisione era già presa. Se ne sarebbe andato di sua volontà. Ieri, dopo la strage dei viadotti dalla Sicilia alla Sardegna. Ieri, che palazzo Chigi per bocca di D’Erasmo D’Angelis, e attraverso le colonne della Stampa ha intimato: «Basta scaricabarile!». Ieri, con le testimonianze da brivido raccolte da Report sui lavori in certe gallerie. Ma tutto questo, faceva sapere, non c’entrava niente. Granitico.
Non si arriva dov’è arrivato Ciucci, e soprattutto non si resiste 46 anni nelle più grandi aziende pubbliche se si è deboli di stomaco. Il presidente dell’Anas si può definire l’ultimo dei boiardi di Stato: non si offenderà. A 19 anni è già nella società Autostrade. Dove pian piano scala tutti i gradini. Il grande salto è quando Romano Prodi, nel 1987, gli spalanca la stanza dei bottoni: la direzione finanza dell’Iri. Per quanto ci provino, non riescono a mettergli addosso il bollino di qualche partito. «È parente di Antonio Maccanico», sussurrano allora i maligni facendo notare che la moglie del potentissimo ex segretario generale del Quirinale è Marina Ciucci.
Ma il giovane dirigente dell’Iri è abile e sveglio come pochi. Non ha il famoso bollino e anche se può sembrare assurdo, sarà la sua forza. Colleziona incarichi. I consigli di Alitalia, Rai, Stet, Finmeccanica, Comit, Credit, Banca di Roma, Sme, Autostrade, Aeroporti di Roma... La presidenza di Cofiri, stanza dei bottoni finanziaria del gruppo. Finché nel 2002 Silvio Berlusconi lo nomina al vertice della Stretto di Messina, la società controllata dall’Anas che dovrebbe realizzare il ponte fra Scilla e Cariddi. Un progetto che l’esecutivo di Prodi stoppa nel 2006. Ora lo faranno fuori, pensano tutti: Ciucci ha appena firmato il contratto con Impregilo, pur sapendo che Berlusconi avrebbe perso le elezioni. Invece no. Con assoluta indifferenza l’uomo del Ponte tanto odiato dal centrosinistra finisce all’Anas. Iri docet.
Berlusconi redivivo lo conferma nel 2009 e due anni più tardi lo fa amministratore unico. In più gli rimette in pista il Ponte. Il suo potere è enorme. Gestisce i lavori della Salerno Reggio-Calabria e il progetto della più grande opera pubblica mai pensata in Italia: commissario di governo, amministratore della concessionaria e capo supremo dell’azionista Anas. Non lo scalfisce il ritorno della sinistra al governo. Né la sepoltura del Ponte, avviata da un Berlusconi ormai in debito d’ossigeno e officiata da Monti. Nel 2013 Enrico Letta gli dà poteri assoluti. Però ecco Renzi e il copione cambia. Spunta la regola che dopo tre mandati si va a casa. Mentre Ciucci, fra Anas e Stretto non riesce nemmeno a contarli. Il governo che dice di voler cambiare tutto, lascia invece tutto com’è. Inutile farsi troppi nemici.
Ciucci sta andando in pensione e alla conclusione del suo mandato, primavera 2016, non potrà restare. Non resta che aspettare: un po’ di tempo, o magari un passo falso. Tutti sanno che i nuovi inquilini di palazzo Chigi non lo amano. È il solo manager pubblico, insieme all’amministratore di Invitalia Domenico Arcuri, a vedersi tagliare lo stipendio, ridotto ai 300mila euro annui fissati dal governo. Il Movimento 5 stelle non rinuncia però a infilzarlo con un’interrogazione sulla buonuscita da 1,8 milioni che il Ceo Pietro Ciucci avrebbe concesso nell’estate 2013 al direttore generale Pietro Ciucci per la «risoluzione consensuale del rapporto di lavoro» dipendente. Granitico, lui non fa una piega. Come sotto il bombardamento di polemiche per i collaudi del Mose, affidati a una selva di dirigenti Anas (dell’Anas per una diga?), fra i quali anche lui. O sui lavori della Salerno-Reggio Calabria. Lasciando basiti quanti leggono il suo nome fra i docenti che dovrebbero spiegare ai giornalisti in uno dei corsi di formazione dell’Ordine (!) i segreti della comunicazione per gli appalti pubblici (!). Era giovedì 9 aprile. Già sapeva che la slavina partita con le dimissioni di Maurizio Lupi sarebbe arrivata a valle.