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 2015  aprile 13 Lunedì calendario

Un bicchiere di troppo prima di mettersi alla guida e per l’automobilista colto in flagrante cominciano i guai: sanzione fino a 6 mila euro, sospensione della patente fino a un anno e processo. Ma che succede se lo stesso automobilista di professione fa il pilota di aereo? Nulla: sarà costretto a recarsi all’aeroporto in taxi finché la patente è sospesa, ma una volta arrivato a destinazione potrà guidare un Boeing e portare da un continente all’altro centinaia di passeggeri. Assurdo, ma funziona così

Un bicchiere di troppo prima di mettersi alla guida e per l’automobilista colto in flagrante cominciano i guai: sanzione fino a 6 mila euro, sospensione della patente fino a un anno e processo. Ma che succede se lo stesso automobilista di professione fa il pilota di aereo? Nulla: sarà costretto a recarsi all’aeroporto in taxi finché la patente è sospesa, ma una volta arrivato a destinazione potrà guidare un Boeing e portare da un continente all’altro centinaia di passeggeri. Assurdo, ma funziona così: la legge non prevede sanzioni accessorie, nemmeno l’obbligo di comunicare agli enti di sicurezza “l’incidente”, e così né la compagnia aerea né l’Enac possono intervenire.
È una delle falle nel sistema dei controlli sull’idoneità al volo dei piloti di linea. Le regole vengono stabilite dalla normativa internazionale Easa, ma in l’Italia sono recepite dall’Enac, per questo non mancano le differenze da paese a paese. “Gli errori di valutazioni fatti con il pilota di Germanwings in Italia non sarebbero avvenuti perché i controlli vengono realizzati da enti terzi: il Sasn, Servizio assistenza sanitaria naviganti, o l’Istituto medico aeronautica militare”, ripetono gli addetti ai lavori. In effetti, a differenza di quanto avviene in Germania, la visita obbligatoria con cadenza annuale non viene realizzata da medici stipendiati dalla stessa compagnia aerea.
C’è però una rilevante eccezione: gli esami sugli stupefacenti, delegati alle compagnie. Lo screening sanitario è approfondito: sei ore di esami clinici per verificare le condizioni di salute, dalla percezione dei colori alle malattie infettive, passando per gli accertamenti psichiatrici e psicologici.
Questo sulla carta, ma la visita psicologica è in realtà solo opzionale. Il pilota ha un colloquio con un medico generale e solo a fronte di un sospetto specifico viene visitato anche da psicologo e psichiatra e sottoposto a un test della personalità. Dopo l’incidente Germanwings, Enac ha convocato le rappresentanze dei piloti. Tra le proposte c’è anche quella per rendere lo screening psicologico obbligatorio, ma il confronto è in fase embrionale. Così, gli stessi piloti che rischiano di venire sospesi per un livello dei trigliceridi fuori dalla norma di rado perdono l’idoneità al volo a causa di problemi psicologici o psichiatrici: “Cinque o sei casi l’anno, a fronte di un parco nazionale di 10 mila piloti – spiega il direttore della regolazione tecnica Enac, Alessandro Cardi, che prosegue -.
Quasi sempre, si tratta di casi legati all’abuso di droghe o di alcol”. Benché la percentuale di persone con problemi di dipendenze sia più bassa tra il personale di volo che nella popolazione generale, le eccezioni esistono. Eppure questa parte di test è appunto relegata alla responsabilità delle compagnie, mentre “durante la visita annuale viene svolta solo a campione”, spiega il direttore del Sasn, Antonio Salzano.
Uscir nella brughiera di mattina dove non si vede un passo per ritrovar se stesso, cantava Lucio Battisti. È successo davvero a un pilota di linea atterrato a Malpensa. Dopo il volo, invece di recarsi verso l’hangar, ha cominciato a vagare a piedi per le campagne del varesotto. Quando è stato ritrovato era in stato di shock. Dopo un percorso terapeutico psichiatrico, ha perso il brevetto. È uno degli oltre 150 piloti che si sono rivolti al Pag, il Pilot Advisory Group, un gruppo di sostegno voluto dal sindacato Anpac per il personale di volo in difficoltà.
Aperto nel 1994, inizialmente era appoggiato anche da Alitalia finché, nell’ottobre del 2000, un pilota è stato ritrovato morto a causa di un’overdose di eroina. A quel punto Alitalia ha deciso di non mettere più le mani nelle vite dei piloti e ritirare l’organico “prestato” al progetto. Il fondatore del Pag è l’ex comandante Giampaolo Meotti: “Uno dei problemi più ricorrenti sono le crisi che seguono gli incidenti, anche solo sfiorati. Ho conosciuto tre piloti che, per il trauma, avevano sviluppato la paura di volare. Uno di loro mi chiese di aiutarlo a perdere il brevetto”.
Anche in assenza di episodi eclatanti, fare il pilota è un lavoro stressante: durante i decolli e gli atterraggi, le avarie, quando il meteo è avverso, la produzione di adrenalina si impenna e lascia strascichi nel sistema ipertensivo. E, a questo, si sommano i problemi personali: “Si deve volare anche dopo aver perso un figlio o durante la separazione”. Per Paolo Carminati, per 25 anni pilota Alitalia e oggi psicologo, le problematiche affettive sono collegate al tipo di tratte: “Chi fa voli brevi ha turni massacranti, ma mantiene le relazioni affettive perché torna a casa. Chi invece effettua voli a lungo raggio è costretto a uno sradicamento destabilizzante, confermato dall’alto numero di separazioni tra i piloti”.