La Stampa, 13 aprile 2015
«Strada bloccata per attraversamento rospi». Con tanto di volontari che gli aiutano a migrare dall’altro lato per deporre le uova lungo le rive dei fiumi senza essere schiacciati dalle auto
L’appuntamento con la salvezza è di notte. Torce elettriche non troppo potenti per non danneggiare la vista delle «prede», guanti di gomma in modo da non trasmettere loro malattie letali, passamontagna contro il vento che, a dispetto della primavera, è ancora gelido e taglia il viso, aerati cestini da pescatore. E poi tanta pazienza, ferrea convinzione e sangue freddo. Le «prede», inermi, impacciate e vulnerabili, sono i rospi comuni, i Bufo Bufo, che richiamati da un istinto ancestrale, così come le ultime rondini sopravvissute, da pochi giorni hanno cominciato la grande migrazione verso i luoghi di riproduzione: i corsi d’acqua e gli stagni, gli stessi dove da girini sono metamorfosati in piccoli rospi dando vita a una nuova generazione. I pochi rimasti sono tutti lì, nelle vallate dell’entroterra dove i boschi un tempo confinavano direttamente con i torrenti ma ora, frapposte, serpeggiano insidiose e trafficate strade. Il faticoso compito notturno è quello di aiutare i rospi ad attraversare la striscia d’asfalto, fermando a volte anche il traffico, e permettere così di raggiungere l’acqua per dare il via a un altro ciclo vitale.
Il tam tam in rete
Per aiutare i rospi a percorrere quei pochi metri che rappresentano la differenza tra la vita e la morte – sono migliaia gli esemplari schiacciati da automobilisti distratti o, peggio, indifferenti che invece molto spesso potrebbero semplicemente fermarsi e spostarli nella cunetta – ma soprattutto per cercare di arginare il declino generale degli anfibi nel mondo, in questi giorni in tutta Italia e in moltissimi Paesi europei, sono scesi in campo i volontari delle associazioni ambientaliste e animaliste. Dal Veneto alla Puglia attraverso il tam-tam di Internet o sui giornali delle stesse associazioni, si danno appuntamento nei posti dove maggiore è la presenza del Bufo Bufo, garantendogli per quanto possibile la sopravvivenza.
In Italia, gruppi attivi per la salvaguardia degli anfibi sono, per fortuna, ormai presenti in quasi tutte le regioni. I primi esempi erano nati negli Anni 90 a Milano, Trieste e Firenze. Da lì, poi, si sono moltiplicati e oggi sono a Genova, Bari, Trento, Bolzano, Ferrara, Pordenone, Treviso, Bologna, Roma sino ai primi gruppi in Sicilia, Sardegna, Calabra e Basilicata: segno di quanto la necessità di tutelare l’ambiente sia ormai entrata nella coscienza collettiva degli italiani. Nucleo centrale di tutta questa attività e la Società Erpetologica Italiana, con la sua commissione per la Conservazione degli Anfibi e dei Rettili.
All’estero
Certo non ci sarebbe bisogno di volontari se l’Italia a livello istituzionale non fosse, come quasi sempre accade, fanalino di coda nella protezione dell’ambiente. Le iniziative statali all’estero sono innumerevoli: in Germania, Svizzera e Austria i tunnel e i sottopassi per consentire agli anfibi di migrare sotto le strade non sono eccezioni, ma regole abitualmente preventivate dagli stessi progettisti. In Gran Bretagna vi è l’immensa e popolare iniziativa chiamata «1 million ponds» che si prefigge di realizzare un milione di nuovi stagni per consentire la riproduzione e la conservazione degli anfibi (rane, raganelle e tritoni ma anche di libellule che come gli anfibi sono vere sterminatrici di zanzare). Negli Stati Uniti la «Citizen Science» va per la maggiore, con milioni di cittadini entusiasti e consapevoli impegnati a monitorare lo sviluppo dei girini e l’espandersi di malattie. Ma iniziative a tutela di questi indispensabili animali (nel mondo in molti casi, in concomitanza con l’estinzione degli anfibi, si è notata l’esplosione di malattie infettive come la tubercolosi, peste e altre ancora) vanno ormai dal Perù ad Haiti e dal Giappone al Madagascar, in quest’ultimo Paese anche grazie all’impegno degli erpetologi del Museo di Storia Naturale di Torino.
La globalizzazione
«Il declino delle varie specie è dovuto anche all’inserimento negli stagni di esemplari esotici – avverte il naturalista Dario Ottonello che si occupa della conservazione in Liguria della Emys Orbicularis, rara tartaruga autoctona di acqua dolce. Tra tutti, i più dannosi sono il Gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii), i pesci rossi e le testuggini americane (Trachemys scripta). Soprattutto il gambero della Louisiana e i pesci rossi sono una flagello per moltissime specie, in particolare per i tritoni. Un’altra piaga notevole, per esempio per la Rana temporaria, quella di montagna, è l’introduzione di pesci nei laghi alpini che hanno trasmesso micosi diffuse a livello mondiale e che hanno portato all’estinzione di svariate specie anfibie come ilBatrachochytrium dendrobatidis eBatrachochytrium salamandrivorans. Inoltre, gli effetti della distruzione-alterazione e della frammentazione degli habitat emergono anche dopo parecchi anni dall’intervento dell’uomo soprattutto in specie longeve come il rospo comune».