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 2015  aprile 13 Lunedì calendario

La fine dell’era del pulsante. Con il digitale sono scomparsi, di loro sono rimasti solo forme e i suoni per far capire che «qualcosa» è accaduto, come i cellulari usati per fotografare, che rifanno il suono delle reflex di un tempo

Quanti pulsanti schiacciate ogni giorno? Per accendere il computer c’è un pulsante, per spegnerlo non più. L’interruttore della luce è un pulsante? Solo in parte, ma lo si può assimilare. Non ci sono pulsanti sui telefoni cellulari, salvo quelli virtuali, o per spegnerli definitivamente. Le «cose» che usiamo, in particolare quelle elettroniche, non hanno più veri pulsanti. Non ci sono quasi più sulle automobili. Il Novecento è stata l’epoca dei pulsanti, ricorda Steven Connor (Effetti personali, Cortina), come l’Ottocento lo era stato delle leve e dei pomelli. I pulsanti avevano sostituito gli interruttori. «Pulsante» è una parola novecentesca; l’ha introdotta D’Annunzio («bottone che si spinge per azionare un meccanismo», 1916) subito dopo la fine della Prima guerra mondiale. Solo negli anni Cinquanta del XX secolo ha assunto il significato attuale: «Bottone che premuto apre o chiude un circuito elettrico, specialmente d’una lampada o di un campanello» (1958). Pulsante come bottone a pressione. Nel passaggio dall’elettricità all’elettronica sono andati modificandosi tutti gli oggetti che funzionavano grazie ai pulsanti: campanelli, aspirapolvere, telefoni, ascensori, lavatrici, radio, macchine fotografiche. Negli Anni Cinquanta il pulsante che si preme per causare la partenza di missili a testata atomica, è stato uno degli incubi collettivi, ben rappresentato da Kubrick in Il Dottor Stranamore. La seduzione del pulsante derivava dalla sua semplicità: bastava spingere con moderata forza un oggetto piccolo per mettere in moto grandi macchinari; un semplice gesto che dava il senso dell’enorme potenza controllata. I pulsanti sono diventati sempre più piccoli e le azioni che producevano sempre più grandi. Il pulsante rosso, ricorda Connor, quello dell’allarme, generava attrazione e al tempo stesso l’impulso contrario. Con il pulsante lo sforzo fisico era ridotto; oggi con il digitale è del tutto scomparso. Si riproducono le forme e i suoni dei pulsanti, per far capire che «qualcosa» è accaduto, come i cellulari usati per fotografare, che rifanno il suono delle reflex di un tempo. Tuttavia i bottoni non sono del tutto scomparsi. Rimangono come «fantasmi» alla pari di molti altri oggetti inghiottiti dal mondo digitale e riemersi sotto forma di performance, gesti o suoni mimati. Connor ci ricorda che quello che non scompare è l’idea di avere un effetto sulle cose. Illusione digitale. Siamo diventati superflui, come i pulsanti. Le «macchine» ne fanno senza; così come di noi.