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 2015  aprile 13 Lunedì calendario

Fabbriche senza confini, così l’auto è uscita dal tunnel. Mai costruite così tante macchine nel mondo: quasi 90 milioni. Il caso di Spagna e Regno Unito: grandi produttori senza marchi di casa

La davano per spacciata, dicevano che si sarebbe estinta come un dinosauro, che il declino era inevitabile. Che ai giovani l’automobile non interessa più, tanto bastano smartphone, tablet e una console per stare al mondo. Che i colossi di Silicon Valley avrebbero fatto piazza pulita dell’industria «vecchio stile», di Detroit e di tutte le altre città dei motori nel mondo.
Così non è andata, i «dinosauri» hanno dimostrato una formidabile capacità di adattamento, resistendo alla peggiore crisi del secolo e trovando nuova linfa nei mercati emergenti.
Mai nel mondo si sono costruite tante macchine come nel 2014, quasi 90 milioni. Fuori dal tunnel della recessione, con prudenza, ma finalmente si rivede un po’ di luce anche dalle nostri parti. Dopo sei anni di cali, l’Italia torna a crescere con 700 mila veicoli prodotti fra automobili e mezzi commerciali. Briciole rispetto ai numeri del passato, ma alcuni dati meritano di essere con letti con attenzione.
Vocazioni
Se nel primo semestre il bilancio era negativo, nei mesi finali dello scorso anno l’«effetto Melfi» ha portato a un’inversione di tendenza. La fabbrica di Fca è ripartita con l’arrivo della Jeep Renegade e della 500X, in attesa che Mirafiori e Cassino facciano lo stesso sull’onda del rilancio dell’Alfa Romeo. Il marchio nei piani industriali di Fca deve raggiungere le 400 mila unità nel 2018, ricostruendo tutto da capo. L’immagine, la tecnologia, l’appeal, una sfida che coinvolge anche lo stabilimento di Termoli al quale sono stati assegnati due nuovi motori. In questo disegno le fabbriche italiane diventano l’«hub» per l’export, con prodotti globali sviluppati in casa ad alto valore aggiunto.
Un cambio di rotta totale rispetto alla vocazione della Fiat. Ma insieme all’industria è la geografia dell’automobile a essere cambiata: Paesi come la Repubblica Ceca e la Slovacchia nel giro di pochi anni hanno attratto investimenti esteri grazie alla vicinanza ai mercati di sbocco, agli sgravi fiscali e alla manodopera qualificata e a buon prezzo. Adesso registrano aumenti della produzione a doppia cifra. Hyundai e Kia hanno piantato le loro basi a Est con il preciso intento di prendersi un pezzo d’Europa e ci stanno riuscendo: se dalle parti di Bratislava nel 2007 si fabbricavano 571 mila veicoli (fonte Anfia) ora si viaggia sul milione. La Volkswagen, che qui realizza le citycar «up!», Skoda «Citigo» e Seat «Mii» e i Suv più grandi Audi Q7 e Volkswagen «Touareg», nonché le scocche per la Porsche, allargherà le linee con un investimento da 500 milioni di euro. È evidente che l’equazione fra impresa locale e produzione nazionale ormai funziona sempre meno: a parte Germania e Francia, nel panorama europeo i siti più importanti sono quelli spagnoli e inglesi.
Produzioni
Né Madrid né Londra possiedono direttamente case automobilistiche, a scommettere sul territorio sono gli stranieri. Con passaporto giapponese, in particolare: la Honda ha messo 250 milioni di euro sul piatto per trasformare la fabbrica di Swindon. Diventerà il polo mondiale della nuova «Civic» – uno dei modelli più venduti – la vettura sarà esportata in Giappone.
Un controsenso? Macché la tendenza è quella, come confermano scelte analoghe fatte dalla Nissan – Sunderland conta quasi per un terzo della produzione inglese – e dalla Toyota a Burnaston.
Per salvare i posti di lavoro nel Vecchio Continente la ricetta sembra essere univoca: puntare sull’export. Perché il mercato interno da solo non può reggere: se l’Europa nel 2005 contava per il 27% delle vendite mondiali ora vale il 18%, mentre il peso dell’Asia – che vuole dire Cina – è più che raddoppiato.
La Repubblica Popolare con i suoi 23 milioni di veicoli assemblati nel 2014 si conferma tetto del mondo e teatro di tutte le sfide. A cominciare da quella Volkswagen-Toyota per il primato fra i costruttori, un nuovo match andrà in scena al motorshow di Shanghai al via il 20 aprile. I tedeschi sono ossessionati dalla leadership. La contromossa dei giapponesi, mai troppo interessati ai record, consiste in una nuova strategia molto simile a quella della Vw: piattaforme comuni – la più importante si chiama «Tnga» – e nuovi stabilimenti – uno in Messico e un altro in Cina – nel tentativo di lasciarsi alle spalle i concorrenti e pure i pessimi ricordi della stagione dei richiami.
«Non pensavo che sarei rimasto presidente a lungo» ha confessato agli azionisti Akio Toyoda. E invece è ancora lì, come lo è Martin Winterkorn protagonista dell’espansione del gruppo di Wolfsburg. Chissà per quanto, in Germania da tempo è già iniziata la «guerra» di successione.