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 2015  aprile 13 Lunedì calendario

Walter Veltroni parla del suo nuovo film, della sua famiglia, di com’era lui da piccolo, di Dio e molto poco di politica: «Noi adulti siamo figli dei bambini»

Un ritratto dell’Italia attraverso i bambini. Sì, in questo Paese che se ti guardi intorno vedi tante teste bianche. Dove i piccoli oggi sono un terzo degli anni ‘50… Anche per questo mi è sembrato giusto dare la parola a loro, che hanno così poca voce: bisogna sapere che cosa pensano, come vedono questo mondo, questa Italia dove vivono. Ma l’ho fatto anche per noi adulti, che non siamo più abituati ad ascoltarli, che non sappiamo nemmeno come entrare in comunicazione con i nostri figli”.
Ore 10,30 del mattino, in una piccola stanza della casa di produzione dell’ultimo film di Walter Veltroni. Le luci si stanno per spegnere, ma già tu stenti a mettere a fuoco qualcosa: proprio lui, l’autore. Ti sta seduto nella sedia accanto e non puoi fare a meno di vedere in quel volto così noto, familiare, prima di tutto il politico, l’ex segretario Ds, l’ex sindaco. L’uomo che per decenni è stato presenza costante della scena civile del Paese. Fino a poche settimane fa, quando veniva dato tra i favoriti per il Quirinale. Ma Veltroni, camicia azzurra d’ordinanza, capelli appena più scarmigliati del solito, non ha l’aria di uno deluso. Ci hai messo un po’, ma adesso eccolo, è a fuoco, lo vedi davvero nei panni del regista. Racconta i bambini, come sguardo verso il futuro. Ma forse anche sul proprio passato. Su se stesso. La speranza e la memoria.
Si spengono le luci e di nuovo devi superare un piccolo imbarazzo: guardare il film in anteprima accanto al regista. Sapere che lui ti terrà d’occhio, osserverà le tue reazioni. E tu stesso a ogni scena sarai tentato di cercare lo sguardo di chi l’ha girata.
Basta l’inizio per capire: questi non sono piccoli attori. Sono bambini che raccontano la loro vita. Con naturalezza. A volte non succede nemmeno con i tuoi figli. Come avete fatto?
È stato un lavoro lungo. Abbiamo incontrato oltre 350 bambini di tutta Italia e alla fine ne abbiamo scelti 38, tutti tra gli otto e i tredici anni. Non necessariamente quelli che parlavano di più. Anzi, ce n’era uno che nel primo filmato stava zitto, non diceva una parola. Ma dal volto, dall’espressione abbiamo capito che era la persona giusta. Così abbiamo girato almeno un’ora e mezza per ogni bimbo, abbiamo raccolto sessanta ore di immagini e colloqui per un film di appena un’ora e quaranta. Sapeste quante scene bellissime abbiamo dovuto sacrificare.
E quanti bambini avrete dovuto tagliare…
No, neanche uno. Ci sono tutti, perché ognuno ci ha lasciato qualcosa. E perché volevo che nessuno si sentisse escluso, che pensasse di aver fatto male.
Ma come avete fatto a mantenerli così naturali? Come siete riusciti a farli parlare senza reticenze e finzioni?
È stato molto più facile di quanto pensassimo. Prima li incontravo, parlavo un po’ con loro, scherzavo soprattutto. Poi, quando capivo che si fidavano di noi, davamo l’extra omnes, il fuori tutti. A cominciare dai genitori. E restavamo soltanto noi: il bambino, io e l’operatore. E loro cominciavano a parlare, rispondevano alle domande con sincerità, senza finzioni.
Sembra facile. Spesso, troppo spesso, nemmeno i genitori ci riescono. Ci vuole una cinepresa, un riparo?
No, basta metterli a loro agio. Magari nella loro stanza, dove si sentono protetti. Oppure li porti in macchina a fare un viaggio, perché capiscano che ti stai dedicando a loro. E poi li ascolti. Fateci caso. Noi grandi quando siamo con i piccoli, con i nostri figli parliamo sempre all’infinito. A voce alta. Diamo sempre consigli, esprimiamo dei precetti. Crediamo forse che sia questo il nostro ruolo. Invece basta ascoltare, far capire ai bambini che li prendi sul serio, che loro hanno cose da dire che per te sono importanti.
Non siamo più abituati a pensare che i più piccoli possano dirci, insegnarci qualcosa?
I bambini sono sapienti. Soprattutto nella società in cui viviamo dove invece i grandi tendono a fare i bambini. Dove assistiamo a una specie di infantilizzazione degli adulti.
I bambini, a volte più di noi, si pongono domande grandi. Forse anche perché il mondo di oggi, la comunicazione, le tecnologie, li mettono presto a contatto con questioni delicate, come il sesso.
Che cosa distingue il bambino dall’adulto?
La fantasia e l’onestà, che poi in fondo sono anche la stessa cosa.
Il poeta William Wordsworth diceva: “Il bambino è il padre dell’uomo”. È dal piccolo che nasce l’adulto. Le sembra davvero così?
Certo, questa è l’età fondamentale, delicatissima in cui ognuno di noi diventa ciò che sarà. È in questo fazzoletto di anni che si decidono le inclinazioni, le passioni. Che la persona acquisisce il marchio che segnerà la sua esistenza. Se li guardi è come se vedessi davanti a te un fiore che sboccia, al rallentatore.
Lei non ha risparmiato domande forti ai bambini. Tra i protagonisti del film ci sono piccoli che paiono vivere esistenze spensierate e altri che hanno affrontato dure prove: la morte del padre, la separazione dei genitori, l’immigrazione e la povertà. Come siete riusciti ad affrontare questi temi senza ferire nessuno?
Una ragazza che ho incontrato aveva perso il padre. Ha reagito in un modo imprevedibile, come solo i bambini sanno fare: scriveva sms al padre per rendersi conto che lui non c’era più. Nel film, parlando con lei, dico: “Il dolore prevede un risarcimento”. Io, che da bambino ho pure sofferto, sono davvero convinto che chi ha vissuto un dolore acquisisca una profonda coscienza degli altri. Diventa attento, sensibile, capace di capire le esistenze di chi gli sta accanto. È successo anche a me, che ho perso mio padre a un anno, che non l’ho nemmeno conosciuto. Così ho sviluppato un senso di attenzione, di protezione nei confronti di mia madre. E quel sentimento mi è rimasto per tutta la vita.
Chi era il piccolo Walter Veltroni?Veltroni per un attimo si guarda involontariamente le mani, il corpo, quasi cercasse le tracce di allora.
Ero un bambino magro. Tranquillo. Piuttosto solitario, anche perché mia madre lavorava e mio fratello aveva sei anni più di me. Ma soprattutto ero curioso. Passavo le mie giornate a fantasticare.
Che cosa le è rimasto di suo padre, Vittorio (primo direttore del telegiornale della tv italiana)?
All’inizio soprattutto un’assenza. Volevo bene a un’idea. Ricordo perfettamente i suoi oggetti in casa – le penne, i libri, i fogli – che ricordavano una vita che non avevo potuto conoscere davvero. E poi i suoi amici, Sandro Ciotti, Sergio Zavoli, Lello Bersani, Federico Fellini, che mi raccontavano di lui. Un’assenza che ho cercato di colmare: da ragazzo mi mettevo i suoi vestiti per un bisogno di recuperare quel rapporto fisico che la vita non mi aveva dato.
E sua madre?
Ho avuto una mamma fantastica. Che ha saputo far crescere da sola la famiglia, ma salvando l’allegria. Era una donna che aveva sofferto, che prima aveva perso il padre vittima delle torture nazi-fasciste, e poi anche il marito appena sposato. Rimasta vedova aveva dovuto cambiare vita, cercare un lavoro, ma nonostante le difficoltà riusciva a risolvere ogni situazione con l’ironia, l’umorismo. Ecco, deve essere per questo se ancora oggi tendo a risolvere le situazioni, i contrasti senza esasperarli, senza litigare.
Se la sente di rispondere alle stesse domande che lei pone ai bambini? Qual è stato il più grande dolore del piccolo Walter?
Quando uscivo di scuola e i miei compagni avevano il papà e la mamma ad aspettarli. E io no.

E la gioia più grande?

Le giornate al parco dei Daini di villa Borghese, qui a Roma. Le partite infinite a pallone.
Era un bravo giocatore?
Un discreto portiere. Ecco, ricordo quando mia madre – all’epoca mica si potevano comprare le magliette dei calciatori come oggi – prese un maglione bianco, ci cucì lo stemma della Juventus, lo stirò per bene e mi fece la maglietta del mio idolo, il portiere Roberto Anzolin.
E il suo eroe? Qualcuno si immaginerà Gramsci o Togliatti…Veltroni sorride
No, io leggevo le avventure di Michel Vaillant sui Classici dell’Audacia. Ma soprattutto devo molto a Gianni Rodari. Mi ha insegnato la fantasia, la visione del mondo senza limiti. La fantasia è nata così, dalle letture di Rodari, dai giochi e dalla noia. Se potessi dare un consiglio ai genitori… direi: non fate crescere troppo presto i vostri figli, non fateli vivere come adulti. Lasciate che si prendono il loro tempo. E che conoscano la noia, quel vuoto che devono imparare a colmare.
Lei ha chiesto ai bambini anche cosa pensino della morte. Non è un po’ troppo presto?
No, affatto. I bambini pensano alla morte. Cercano una spiegazione. Della scomparsa delle persone che amano, perfino della propria fine.
E Dio?
Ho avuto un’educazione… direi cattolico-laica. Sono stato educato a credere, ma senza i precetti. E ho sempre avuto, fin da piccolo, un grande rispetto del dubbio: i bambini hanno un forte senso del dubbio, non bisogna proteggerli dall’inquietudine: mi ricordo quelle ore dopo Carosello, quando mamma mi metteva a letto. Prima del sonno, nel buio, emergevano il dubbio, a volte lo smarrimento. Ma senza quei momenti non sarei la persona che sono diventato.
Una domanda ricorrente nel film: raccontami i tuoi sogni…
L’incubo era una freccia scagliata verso un bersaglio. Restava sospesa per aria, ma io sentivo che se avesse centrato l’obiettivo sarebbe stato un disastro. Irreparabile.
Mai sogni belli?
Certo, volare. L’ho realizzato dopo le dimissioni da segretario del Pd. Sono andato a volare su un aliante, nel silenzio. Una gioia straordinaria.
All’inizio del suo film i bambini corrono sempre. Perché?
Vogliono andare da qualche parte, hanno fiducia di poterci arrivare. I bambini hanno davanti una prateria. L’adulto rischia di essere una riduzione del bambino, si accontenta dell’esperienza, ma perde l’incanto.
Chi vorrebbe che andasse a vedere il suo film?
Penso possano vederlo anche i bambini. Ma soprattutto i genitori. Vorrei che lo guardassero e poi tornando a casa, davanti ai loro figli, si facessero delle domande.
Anche lei adesso è padre.
Ho due figlie. All’inizio è stato più difficile. Sono diventato padre senza prima essere figlio di un padre. Te lo devi inventare. Spero di esserci riuscito. Ho seguito molto le mie figlie, le accompagnavo a scuola anche quando gli impegni pubblici premevano. Parlo con loro anche adesso che spesso siamo lontani.
La vita, i sogni. Veltroni adulto ha mantenuto le promesse del bambino?
Ho avuto molto più di quanto immaginavo. Molto di più. E anche adesso, in un tempo molto particolare della mia esistenza, lo affronto con quella serenità che mi ha insegnato mia madre. Che ho imparato da bambino.
Dica la verità, un film sui bambini perché ha vissuto a lungo in un mondo, quello della politica, tanto, troppo adulto?
Chi smette di avere responsabilità politica rischia di cedere a un atteggiamento di rancore verso un mondo che non lo vede più come protagonista. Io continuo a considerare la politica una delle cose che danno senso alla vita individuale e collettiva. Non importa che non si abbia potere. Non c’è antitesi tra ciò che facevo prima e quello che faccio ora. Sono due fasi diverse della mia vita.