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 2015  aprile 13 Lunedì calendario

Addio piloti nababbi, ora possono bastare 2.500 euro per guidare un Airbus. I big dell’aria tagliano: stipendi all’osso e guai ad ammalarsi. E c’è chi paga i biglietti per andare a lavorare

Devono stare attenti ad ammalarsi, molto attenti, i 200 piloti CityLiner, la compagnia aerea regionale che fu di Toto e ora in pratica è la low cost di Alitalia-Etihad. Se hanno una salute di ferro e non sono costretti a prendere neanche un giorno di malattia, fila tutto liscio, l’azienda gli riconosce 64 ore di volo come minimo, che sono soldi indispensabili per arrotondare stipendi ridotti all’osso. E poi gli concede anche le «facilitazioni di viaggio», cioè biglietti gratis e sconti sui voli fino al 90 per cento per i familiari. Ma se si beccano l’influenza, un raffreddore forte o qualsiasi altro malanno e non possono andare a lavorare, allora sono guai. Bastano poche assenze in un anno e addio ai soldi aggiuntivi in busta paga e anche gli sconti sui biglietti rischiano di volare via. Non è una faccenda da poco. Gli stipendi dei piloti CityLiner sono assai bassini per la categoria, circa 2.500 euro netti in media, benefits compresi. E i biglietti gratis a molti servono per fare i pendolari dalla città dove risiedono fino a Roma.
 
Remunerazione base 550 euro lordi
Da contratto la remunerazione base iniziale di un pilota in seconda della compagnia regionale è di 550 euro lordi al mese, importo su cui viene calcolata la pensione che quindi a conti fatti dopo 40 anni sarà una miseria. Allo stipendio base si aggiungono 490 euro di volo minimo garantito, più un bonus orario oltre le 30 ore di volo al mese che nella fase iniziale del contratto era di appena 6 euro, più 42 euro di rimborso pasti al giorno. Ovvio che con queste entrate i piloti CityLiner saranno tentati di nascondere le malattie e ci penseranno dieci volte prima di restare a casa a curarsi. Magari si sforzeranno di andare a lavoro anche da malati, decidendo di mettersi alla guida di un aereo con la febbre o impasticcati di medicine. Rischiando in prima persona e facendo rischiare le decine di passeggeri saliti sull’aereo. Di fatto alla CityLiner l’assenza per malattia dei piloti è trattata come una furbata, definita con linguaggio tecnico «instabilità nelle turnazioni». Il rischio è che con questo approccio prima o poi possa succedere il fattaccio.
Il caso delle malattie dei piloti non è purtroppo un fatto limite e nemmeno isolato. Episodi del genere, frutto dell’onda anomala della deregulation mondiale dei voli, capitano sempre più spesso in tutta Europa, nelle compagnie low cost soprattutto, ma anche nelle grandi aziende blasonate. Alitalia compresa, che resta comunque una delle compagnie più affidabili che alla sicurezza ha prestato e continua a prestare la massima attenzione. Fatti simili se li raccontano con preoccupazione e a bassa voce piloti ed equipaggi, ma mai le voci varcano i confini degli aeroporti e delle piste. Per paura di rappresaglie aziendali, prima di tutto. E poi perché chi lavora sugli aerei sa che mettere in giro racconti del genere è rischiosissimo potendo ingenerare allarmismi o addirittura scatenare il panico facendo fuggire i clienti. Finora è sempre valsa la regola che i panni sporchi si lavano in famiglia o tutt’al più si denunciano con molta discrezione alle autorità competenti come l’Enac, l’ente dell’aviazione civile. Anche se l’Enac sembra un cane senza denti che abbaia: per i controlli di rito sugli aerei di tutte le compagnie che transitano in Italia ha a disposizione appena 2 ispettori, ex piloti in pensione. Per i controlli di rampa nessuno.
Il caso Cityliner è stato raccontato al Fatto Quotidiano da un comandante Alitalia di lungo corso, un signore tranquillo seduto nel salotto di casa, un professionista con i capelli per lo più bianchi che ha passato una vita in cabina di pilotaggio. Da poco è andato in pensione dopo che per mesi l’azienda l’aveva tenuto sulla corda. Ogni volta che si metteva alla cloche pensava fosse l’ultima e quando alla fine è arrivata la sentenza gliel’ha comunicata la moglie mentre saliva sulla scaletta dell’aereo per un volo lungo. Con che cuore ha pilotato c’è da immaginarselo. Il nostro pilota ha vissuto tutte le mutazioni genetiche della compagnia. Dalla fase delle partecipazioni statali con i piloti intoccabili e privilegiati che comandavano a bacchetta. E qualche volta usavano perfino la sicurezza come arma di pressione e ricatto. Poi i debiti, l’azienda consegnata da Berlusconi a una pattuglia di improvvisati dilettanti ribattezzati «patrioti». E infine il nuovo tonfo, le convulsioni, la prospettiva di un altro fallimento e l’ingresso degli arabi di Etihad che con appena 600 milioni di euro si sono messi al comando.
 
Le visite mediche dimezzate
Anno dopo anno il comandante Alitalia ha visto affievolirsi i livelli di sicurezza in tutta Europa, fino a un punto che considera rischioso e inaccettabile. Per questo dopo molte riflessioni ha deciso di parlare con un giornalista. Se il pilota dell’Airbus che si è schiantato sulle Alpi francesi aveva paura di non volare, cioè era ossessionato dall’idea che i capi della sua compagnia, la Germanwings della Lufthansa, potessero decidere di metterlo a terra considerati i suoi problemi psichici e fisici, il comandante Alitalia ha invece una paura opposta. Dopo una vita per aria, ora paradossalmente ha paura di volare. E non perché non si fida della professionalità dei colleghi Alitalia che anzi considera tra i migliori del mondo, ma sa che non sempre e non tutti nelle compagnie europee sono nelle condizioni di poter agire come vorrebbero.
La tendenza è proprio opposta. All’Alitalia hanno cominciato proprio i «patrioti» trasformando per contratto i piloti in dirigenti aziendali, quindi non più autonomi professionisti responsabili dei voli, ma semplici anelli terminali della catena di comando aziendale incitati a concentrarsi soprattutto sui risultati economici e licenziabili con più facilità.
Ora quella clausola è scomparsa dal contratto, ma la sicurezza non è aumentata. Il caso della fuel policy è emblematico. Nessuno può imporre ai comandanti la quantità di carburante da pompare nel serbatoio prima di un volo, ma anche se la compagnia non lo ammetterà mai, si susseguono le telefonate dei responsabili per «suggerire» ai piloti di mettere meno carburante possibile per stare leggeri e di volare sempre più in alto per consumare di meno, con il rischio di arrivare «corti» alle fasi di avvicinamento e all’atterraggio. Fino a non molto tempo fa ogni pilota veniva sottoposto a una visita di controllo ogni 6 mesi, ora una volta l’anno (i 6 mesi restano solo per chi ha più di 60 anni), mentre gli assistenti di volo una volta ogni 5 anni. La validità della licenza di pilotaggio scadeva a 60 anni, ora l’hanno prolungata a 65. Il limite massimo di 900 ore di volo l’anno ora sta per essere sfondato anche in Italia e portato a 1.400. E la tendenza è quella di non considerare ora di volo quella passata sul lettino in cabina mentre alla guida c’è il collega.
 
Il terrore di perdere il posto
Le compagnie europee stanno allevando una nuova generazione di piloti mutati geneticamente. Giovani che devono spendere dai 60 ai 90 mila euro per pagarsi un corso di 150 ore per ottenere la licenza e poi spendere altri 30 mila euro per le prove ad un simulatore di volo. A quel punto sono pronti per l’assunzione. A partita Iva, però, licenziabili in qualsiasi momento e con stipendi bassissimi. Anche l’Alitalia sta pensando di organizzare una sua scuola, un’Academy forse ad Abu Dhabi nonostante ci siano decine e decine di piloti già formati ed esperti in cassa integrazione. Peggio quando il recruitment, come dicono, viene delegato ad agenzie specializzate che si trovano per lo più nel sudest asiatico. Sono loro che assumono con condizioni spesso capestro e poi come tante agenzie interinali girano i piloti alle compagnie che li richiedono. In Europa la Norwegian ha fatto da apripista. Negli Stati Uniti dopo la sciagura di Buffalo (13 febbraio 2009, 49 morti) con la copilota stanca perché costretta a fare la cameriera da McDonalds per arrotondare le entrate e il comandante rintronato dai continui spostamenti da pendolare, hanno cominciato a ripensare la sicurezza in termini più stringenti. In Europa insistono nella direzione opposta. Ma come si sa gli americani sono sempre avanti.