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 2015  aprile 13 Lunedì calendario

Luca Ronconi, l’insostituibile (per ora). Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro, spiega: «L’idea è di avere un “dramaturg”, uno scrittore stabile. Il pensiero del totonomina è assurdo, ci mancano solo le primarie...»

Sedici anni di convivenza. Una specie di rapporto more uxorio consumato in un teatro, e non in un teatro qualunque. Ora che Luca Ronconi non c’è più, Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro dal 1998, ha una doppia responsabilità: difendere il Piccolo come istituzione e difendere un’idea di teatro. Dopo la morte di Strehler, fu lui a scegliere Ronconi, contro tutti o quasi.
E ora? Niente da fare, Ronconi non si sostituisce. O meglio, la successione è in un’idea condivisa. Escobar e il regista avevano ideato un programma triennale e quel programma comprende la mappa dei nomi che, tutti insieme, sostituiranno l’insostituibile Ronconi: Toni Servillo, Emma Dante, Carmelo Rifici, Federico Tiezzi, Damiano Michieletto, Declan Donnellan, Bob Wilson, Mimmo Borrelli, Giorgio Sangati, Lluis Pasqual. E in più gli spettacoli ospitati di Peter Stein, Mario Martone, Lev Dodin… Ci sono generazioni, poetiche e provenienze diverse.
Ci sono parecchi dei nomi dati per favoriti alla direzione artistica del Piccolo; ma quel verbo, «sostituire», Escobar non vuole sentirlo. Con una apertura: «Non nascondo – dice – che si possa ipotizzare la figura di un “dramaturg” alla tedesca, non un regista di riferimento ma una diversa componente artistica». La figura del «dramaturg», nei paesi di lingua tedesca, ha una tradizione che risale al Settecento: è uno scrittore che lavora stabilmente in un teatro alla rielaborazione dei testi da rappresentare e collabora alle nuove proposte. Insomma, una strada più europea. E perché allora, in questa chiave, non pensare, quasi fosse un ulteriore lascito ronconiano, a Stefano Massini, il quarantenne fiorentino autore della Lehman Trilogy, ultimo spettacolo di Ronconi?
Seduto al tavolo di lavoro del suo ufficio allo Strehler, Escobar ricorda: «Ho vissuto con Ronconi una specie di osmosi, ho fatto con lui 50 spettacoli, ogni giorno ci si reinventava, e la voglia di andare a bussare alla sua porta, nella stanza qui accanto, mi sta passando solo adesso. Il pensiero del totonomine è assurdo. Vogliamo fare le primarie?».
Eppure, l’impresa di un passaggio di eredità appariva molto più complicata dopo Strehler, che era stato, con la sua personalità e la sua impronta, il fondatore del Piccolo. Al punto che qualcuno pensò che con lui sarebbe tramontata anche la sua creatura. «Probabilmente qualcuno dirà che il fatto che Ronconi non viene sostituito è il segno del lento e inesorabile degrado di Milano. Pazienza, non me ne importa: vadano a vedere il programma del prossimo triennio. Non so quale teatro stabile riesca a proporre tutti quei nomi. Semmai, il problema oggi è salvare l’idea di teatro stabile pubblico: la vera eredità di Ronconi è difendere questa istituzione. Dopo Strehler, bastò una sola parola per avere il sì di Luca. Fu un rapporto nato al volo, senza tante parole, mentre i consiglieri giravano tutta l’Europa per cercare un direttore artistico e si facevano liste di nomi autorevoli». Arrivò Ronconi, l’opposto di Strehler, per tanti motivi: «Certo, oltre che per l’idea di teatro, anche nel senso dell’identificazione con la città e con l’istituzione: l’egocentrismo di Strehler era dichiarato, quello di Luca era sbriciolato nel tradimento delle certezze e soprattutto di se stesso. Ronconi rivendicava l’aleatorietà del teatro contro la perentorietà: il teatro per lui era insoddisfazione, inquietudine, ricerca continua, non-finito, non uno strumento ma una forma di conoscenza, luogo di connessioni e di anfratti. In questo ho trovato con lui una sintonia perfetta».
Escobar getta uno sguardo verso la stanza accanto, rimasta vuota: «Una cosa è certa: di Ronconi mancheranno soprattutto non le programmazioni ma gli spettacoli, che non erano del Piccolo ma erano del mondo. La scuola avrà un altro direttore, un regista, ma non ci sarà più la gioia che aveva Ronconi nel lavoro con i giovani, ai quali diceva: io ho ottant’anni, sono al punto finale della mia storia; ma voi che ne avete 20, 24, 25… voi siete fortunati, perché vi sarà possibile rivedere, dopo questi momenti così “bassi”, il nuovo, anzi potrete essere proprio voi gli autori di un nuovo modo di fare teatro…».