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 2015  aprile 13 Lunedì calendario

I cileni sono più bravi di noi. A dirlo è il Social Progress Index che toglie all’Italia due posizioni facendola scivolare al 31° posto della classifica mondiale. Anche se abbiamo ottime scuole, una buona sanità e tantissimi cellulari, a farci precipitare sono la corruzione, la criminalità, la scarsa attenzione all’ambiente, l’obesità e i troppi studenti universitari fuori corso. Solo il 61 per cento degli italiani si sente padrone della propria vita

L’Italia archivia un altro anno in chiaroscuro nel Campionato mondiale della felicità. Siamo l’ottava potenza mondiale, il nostro Pil – dopo tre anni di segni meno – ha ripreso timidamente a crescere. I soldi però non sono tutto. E a raffreddare i facili entusiasmi è arrivato il verdetto del Social Progress Index, la pagella messa a punto da Michael Porter dell’Università di Harvard per misurare la qualità della vita in 133 paesi valutando – oltre il prodotto interno lordo – 58 parametri “sociali” tra cui tutela dell’ecosistema, sicurezza, sanità, libertà politica e d’espressione ed accesso a educazione e risorse.
Il risultato dell’edizione 2015 dello studio, visto da Roma, non è brillantissimo: il Belpaese è scivolato dal 29esimo al 31esimo posto della graduatoria. Dietro a Slovenia, Estonia, Cile e Costarica. Viviamo più a lungo di tutti tranne il Giappone (82,9 anni in media), non conosciamo il senso della parola fame, abbiamo 1,59 abbonamenti a cellulari per abitante – un lusso che pochi possono permettersi al mondo – un tasso di mortalità infantile bassissimo e un ottimo sistema d’istruzione di base. Ma corruzione, criminalità, scarsa attenzione all’ambiente, obesità (tocca il 17,6% degli italiani) e i troppi studenti universitari fuori corso fanno precipitare la nostra media in pagella molto al di sotto di gran parte dei Paesi europei. Un quadro grigio. Dove la ciliegina sulla torta è il dato sulle persone che non si sentono davvero padrone della loro vita: solo il 61 per cento degli italiani, calcola lo studio, dice di essere libero di fare le proprie scelte esistenziali. Cifra che ci condanna al 91° posto di questa graduatoria dietro Yemen, Mali, Nepal e Libia, Paesi nei quali c’è evidentemente più ottimismo che da noi.
La testa della classifica del Social Progress Index è appannaggio dei soliti noti: nell’ordine Norvegia, Svezia, Svizzera, Islanda e Nuova Zelanda, abbonati fissi del podio di tutte la classifiche di vivibilità. Gli Stati Uniti – prima potenza globale se l’unità di misura è solo il portafoglio – arrancano in 16esima posizione, penalizzati da voti non proprio brillanti sull’accessibilità al sistema sanitario (gli Usa sono al 38° posto per mortalità infantile e al 55° per il numero di mamme morte di parto), razzismo, obesità e spreco dell’acqua.
Il nostro Paese ha un bilancio in chiaroscuro. Fatto di aree della quotidianità dove la qualità della vita italiana non ha rivali e di buchi neri dove fatichiamo a ritagliarci uno spazio tra i Paesi avanzati. L’acqua è la sintesi di questa realtà a due facce: è disponibile per tutti (grazie a ma- dre natura), è ben distribuita anche nelle zone rurali, regalandoci punteggi a cinque stelle nelle valutazioni di Harvard. L’unico problema è che, una volta sfruttata, la abbandoniamo al suo destino, meritandoci una bocciatura piena per la situazione di depuratori e fogne tricolori.
L’elenco delle insufficienze in pagella comprende pure la corruzione – non c’è bisogno di spiegare perché – dove viaggiamo al 52esimo posto al mondo, l’accesso a edilizia agevolata e internet (46esimi dietro Trinidad & Tobago e Azerbaijan) e la criminalità percepita, categoria dove meritiamo un’inguardabile 93esima posizione. Roba da non stare troppo allegri. E in effetti anche sui suicidi non ce la caviamo male, visto che con 5,8 persone che si tolgono la vita ogni 100mila abitanti veleggiamo a metà classifica, lontani mille miglia da quel Bengodi della Giamaica (1,7 su 100mila) ma molto meglio della Sri Lanka dove la tragica statistica segna quota 37.
La fotografia della ricerca racconta che i Paesi più aperti all’omosessualità sono Olanda, Spagna e Islanda, mentre Pakistan, Afghanistan e Tajikistan sono in maglia nera (l’Italia è 27esima). Roma brilla sul fronte del controllo delle malattie infettive – siamo ottavi – mentre segna il passo sull’accesso ai metodi di contraccezione dove sprofondiamo in 80esima posizione, testa a tesa con Laos e Malawi.
Dati attendibili? A Bruxelles sono sicuri di sì. Tanto che la Ue, stanca di misurare la febbre dell’Unione tenendo conto solo del numero gelido del Pil, ha deciso di adottare il Social Progress Index tra gli strumenti statistici per stabilire come allocare i 63 miliardi di aiuti comunitari alle zone più in difficoltà. Mirando gli interventi sulle aree dove c’è più bisogno. «La sorpresa della nostra ricerca è la mancata correlazione tra stato di salute dell’economia e il progresso sociale» spiega Michael Porter. Il prodotto interno lordo del Costarica vale la metà di quello italiano, ma il Paese ha una qualità “sociale” della vita superiore alla nostra. Sarà un caso, ma a San José e dintorni hanno garantito l’accesso universale all’informazione nel XIX secolo e smantellato l’esercito in quello scorso. E nell’Happy Planet Index compilato dal Think tank olandese News economica foundation, la nazione centramericana è saldamente al primo posto. Noi al 51°…