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 2015  aprile 13 Lunedì calendario

Clinton 2016, in solitaria verso la Casa Bianca. Anche se non piace a tutti i democristiani, correre contro di lei costerebbe a un candidato poco riconoscibile ben 500 milioni di dollari. Ecco perché non ci sono alternative a Hillary

Mentre sul versante repubblicano ci saranno almeno cinque o sei aspiranti presidenti degli Stati Uniti, arriva ora l’annuncio della candidatura di Hillary Clinton, che è considerata talmente forte da poter correre da sola alle primarie democratiche. In teoria la contesa è completamente aperta, a questo punto, ma in realtà pesa già molto la questione dei soldi che potrebbe determinare la scelta degli eventuali candidati.
Nel 2012, l’elezione presidenziale è costata 2 miliardi di dollari, cifra record determinata in parte dalla decisione controversa della Corte Suprema Americana che ha abolito quasi tutti i tetti ai contributi elettorali sia da parte dei singoli sia da parte delle aziende e dei cosiddetti Political Action Committees (Pacs). Questi contributi si sono così triplicati nell’elezione del 2012 raggiungendo per la prima volta un miliardo di dollari. Con altre decisioni simili della Corte Suprema i finanziamenti privati in politica promettono di essere sempre più decisivi in questa nuova stagione elettorale. I fratelli Koch, proprietari di una grande azienda che produce carbone e esponenti di una destra estremamente conservatrice, hanno già promesso di spendere almeno 890 milioni di dollari – quasi l’intero budget di uno dei due candidati presidenziali del 2012 – per la campagna del 2016. Sheldon Adelson ha donato decine di milioni nel 2012, organizzando e conducendo alcuni eventi di presentazione dei vari candidati nel suo casinò di Las Vegas. Adelson è proprietario del giornale israeliano di più grande diffusione e sostenitore accanito di Benjamin Netanyahu e dell’appoggio incondizionato del governo di Tel Aviv. Nella sua intervista con Adelson, il potenziale candidato Chris Christie si è scusato per aver usato l’espressione «territori occupati» in riferimento alla Cisgiordania occupata dall’esercito israeliano a partire dalla guerra del 1967. Con una fortuna di circa 30 miliardi a sua disposizione, Adelson è in grado di condizionare la politica estera di certi candidati.
Mentre la maggior parte dei contributi privati liberati dalla regolamentazione della finanza elettorale vanno verso il partito repubblicano, il peso dei soldi conta molto anche nel campo democratico. Tantissimi elettori democratici non sono per niente entusiasti della candidatura di Hillary Clinton, perché sembra vecchia, stanca, prevedibile e pronta a qualsiasi compromesso pur di farsi eleggere. Ma allo stesso tempo non sembra esserci nessuna alternativa seria nel campo democratico. Lo status di Hillary come moglie di un ex presidente, senatore e segretario di Stato, fa sì che lei abbia un name recognition (nome riconosciuto dall’opinione pubblica con una percentuale quasi assoluta). Un candidato poco riconoscibile sulla scena nazionale dovrebbe spendere qualcosa come 500 milioni di dollari per arrivare a un simile livello di fama. Per questo qualunque aspirante candidato parte in una posizione di svantaggio schiacciante. Per di più Hillary ha ereditato l’enorme rete di conoscenze di sostenitori democratici costruita pazientemente durante la lunga carriera del marito. Per cui parte non solo conosciuta universalmente dall’elettorato ma anche con un tesoretto già molto ricco.
La situazione è più aperta e imprevedibile dentro il partito repubblicano, ma i principali sostenitori cercano già mesi prima dalla selezione iniziale dei candidati di stabilire chi è quello più forte. Mitt Romney, chiaramente interessato all’idea di ricandidarsi, si è ritirato quando diversi grandi elettori del partito repubblicano gli hanno fatto passare il messaggio che sarebbe stato meglio per lui fare un passo indietro e che avrebbero appoggiato Jeb Bush, fratello dell’ex presidente George W. Bush, considerato nell’establishment del partito e dei poteri forti economici il “cavallo” vincente dei repubblicani moderati. Questo è un esempio di ciò che alcuni hanno chiamato le “primarie invisibili”, dove l’ endorsement o l’appoggio di certe figure-chiave e di certi grandi finanziatori setacciano i possibili candidati molto prima delle primarie reali e decidono, dietro le quinte, quello più giusto. Nel 2012 quel candidato era Romney, questa volta sembra essere Bush, anche se ci sono molte resistenze dentro il partito repubblicano nei confronti del fratello di un presidente considerato un fallimento.
Uno studio condotto recentemente da due politologi di Princeton rivela che le scelte politiche dla 1981 al 2002 riflettono i desideri e gli interessi dei più ricchi della nostra società: “Il punto centrale che emerge dalla nostra ricerca è che le élite finanziarie e gli interessi economici organizzati incidono molto sulla politica governativa mentre la volontà dei cittadini normali o dei gruppi popolari organizzati non hanno alcun peso”.
Questa tendenza oligarchica va di pari passo con la disuguaglianza economica crescente negli Usa. Il cittadino qualunque è convinto che la sua voce conti poco e i più poveri votano molto meno dei più abbienti, dando quindi più forza ai ceti alti. E tutto questo avviene prima dello svisceramento del finanziamento pubblico delle campagne elettorali e della deregulation quasi totale dei contributi privati. Mentre in Italia si ha il problema della corruzione e delle tangenti, negli Stati Uniti tutto avviene legalmente alla luce del sole grazie a una Corte Suprema che ha stabilito che il denaro equivale alla parola e che i contributi politici sono una forma di libera espressione protetta dal primo emendamento.