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 2015  aprile 13 Lunedì calendario

Il genocidio degli armeni: si può definire altrimenti lo sterminio di quasi un milione e mezzo di persone, nel 1915? Fino a pochi anni fa era vietato anche parlarne. Perché Ankara non vuole affrontare il passato

Spesso basta un accenno per provocare la reazione della Turchia. Reazione quasi sempre scomposta, perché Ankara si rifiuta, ostinatamente, di riconoscere che nel suo lontano passato (un secolo fa) c’è una macchia indelebile, che si chiama «genocidio del popolo armeno». Genocidio di cui gli attuali governanti e i turchi di oggi non hanno alcuna colpa, ma negandolo si comportano come se fossero colpevoli. Infatti processano scrittori, giornalisti, intellettuali: insomma tutti coloro che non si sottopongono alla censura delle istituzioni.
Che vi sia stato un «genocidio» è fuor di dubbio. Si può definire altrimenti lo sterminio di quasi un milione e mezzo di armeni, nel 1915? Allora la Turchia, che nella Prima guerra mondiale era alleata della Germania, e ormai consapevole della definitiva disintegrazione dell’Impero Ottomano, decise una ruvida operazione di pulizia etnica, lanciando una feroce campagna. Con un preciso obiettivo: eliminare in maniera radicale quell’indisponente minoranza cristiana (una delle più antiche), che osava contrastare il potere centrale del gigante musulmano.
Un’operazione dettata da mostruoso cinismo. Le deportazioni cominciarono proprio come sarebbe accaduto, pochi decenni dopo, per gli ebrei. Lo stesso Adolf Hitler, nel 1939, si riferì allo sterminio degli armeni come ad un fatto «di cui ormai nessuno parla più». Si salvarono soltanto coloro che riuscirono a fuggire dalle città e dalle campagne più esposte, che cercarono di nascondersi, o che furono protetti da qualche coraggioso «Giusto» (ve ne erano tantissimi anche in Turchia), pronto ad aiutare le vittime mettendo in pericolo la propria vita. Nella dolce Aleppo, la città siriana che ora è semidistrutta dalla terribile guerra civile, c’è un albergo (chissà se le sue mura sono ancora in piedi) che si chiama «Baron» e che ospitò clandestinamente centinaia di armeni, distribuendoli poi nelle case di coloro che rifiutavano il diktat del potere centrale.
Fino a qualche anno fa, in Turchia, era un gravissimo reato parlare, a qualsiasi titolo, del genocidio armeno. Bastava una dichiarazione (il caso di Orhan Pamuk), o un romanzo (il caso di Elif Shafak) per venir denunciato e doverne rispondere, in tribunale, come un qualsiasi criminale. Adesso che tra Turchia e Armenia vi è una certa normalizzazione dei rapporti, la tensione si è stemperata. Complici le passate qualificazioni per il mondiale di calcio, quando le due nazionali si sono incontrate, e i rispettivi capi di Stato si sono scambiati le visite stringendosi la mano.
Numerosi studiosi turchi dicono d’essere pronti a discutere di quella macchia di cent’anni fa (l’anniversario è il prossimo 24 aprile). Molti ormai accettano l’idea che vi fu un «massacro sistematico» del popolo armeno, anche se alcuni sostengono che la popolazione armena, in territorio turco, non arrivava al milione di persone. Qualcuno si spinge fino ad accettare quella parola, «genocidio». Certo, per le sensibilità di Ankara, è stata come una frustata il duro e autorevole richiamo di papa Francesco, che ha parlato di quello armeno come del primo genocidio del 20esimo secolo, seguito da quello degli ebrei e, ora, quello dei cristiani massacrati dagli integralisti islamici assassini.
Numerosi storici e osservatori internazionali si interrogano, da decenni, sulle ragioni di tanta ostinazione. Ambasciatori e consiglieri di una delle più efficienti diplomazie del mondo, quella turca appunto, si fanno un punto d’onore di spiegare e rintuzzare le critiche che si affollano su Ankara. In discussione non c’è soltanto il problema linguistico o terminologico («genocidio» o «massacro sistematico»?), quanto un’accusa che, all’inizio del secolo scorso, fu rivolta agli armeni: quella di essere stati al fianco del più grande nemico della Turchia, la Russia. Che vi siano state compagnie di soldati inquadrate nelle Forze armate di Mosca è indubbio. Ma tutto ciò non giustifica ovviamente lo sterminio di un popolo. Anche oggi che l’Armenia è uno Stato indipendente, e che si pone come un ponte tra l’Eurasia e la Ue, la Russia è sempre al centro degli interessi economici di Erevan, come ha spiegato il presidente armeno ieri al Corriere.