Corriere della Sera, 10 aprile 2015
Fanfani e il suo coinvolgimento nella crisi dei missili cubani
Negli anni Ottanta, Amintore Fanfani, in occasione del suo ultimo discorso come presidente del Consiglio, attribuì a se stesso un ruolo di primo piano nella soluzione della crisi di Cuba del 62. La stampa italiana sorrise o poco più, quasi si trattasse di millantato credito. Ora persino Wikipedia riconosce la mediazione di Fanfani nella vicenda. Lei ha più volte ricordato lo smantellamento delle basi missilistiche pugliesi (e turche) in cambio del simmetrico disarmo dei missili di Cuba. Credo di non sbagliare dicendo che all’epoca, e per vari decenni, le notizie su quell’accordo di reciproco disarmo rimasero riservate, tanto che il mito di Kennedy crebbe a dismisura proprio in forza di un successo ritenuto privo di contropartite. Quale fu la effettiva mediazione di Fanfani e qual è la sua opinione sulle ragioni della mancata divulgazione di un accordo all’epoca tanto importante?
Giovanni Lupato
Caro Lupato,
Nell’ottobre del 1962, durante le tredici cruciali giornate della «crisi dei missili», Amintore Fanfani era presidente del Consiglio. Il suo quarto governo, formato nel febbraio di quell’anno, era composto da tre forze politiche (democristiani, socialdemocratici, repubblicani), ma aveva l’appoggio esterno del partito socialista ed era considerato un passo decisivo sulla strada dell’«apertura a sinistra». Durò sino alle elezioni politiche dell’aprile del 1963 e precedette di pochi mesi la formazione di un governo presieduto da Aldo Moro in cui Pietro Nenni, leader del Psi, sarebbe stato vicepresidente del Consiglio e Giuseppe Saragat, leader dei social-democratici, ministro degli Esteri.
La crisi dei missili, nel frattempo, era stata felicemente risolta e il merito era generalmente attribuito al presidente americano. Kennedy aveva ordinato il blocco navale dell’isola di Cuba, indotto le navi sovietiche a cambiare rotta e ottenuto in ultima analisi che l’Urss rinunciasse alla installazione dei suoi missili nell’isola. Le opinioni pubbliche dei Paesi democratici avevano tirato un sospiro di sollievo e conferito al giovane presidente americano la palma del vincitore.
Nella realtà le cose erano andate assai diversamente. Non vi sarebbero stati missili sovietici nel Paese di Fidel Castro, ma Nikita Kruscev, segretario generale del Pcus (Partito comunista dell’Unione sovietica), aveva strappato all’America due concessioni. In primo luogo gli Stati Uniti si sarebbero formalmente impegnati a rispettare, da allora in poi, l’integrità territoriale dell’isola. In secondo luogo, avrebbero ritirato i propri missili di lunga gittata dalle loro basi nell’Italia meridionale e in Turchia. La partita si chiudeva alla pari, ma il pareggio non fu immediatamente percepito perché Kennedy aveva chiesto e ottenuto dai sovietici che la notizia del ritiro da Italia e Turchia fosse data più tardi. Spesso accusata di durezza e arroganza, l’Urss, in quella vicenda, si dimostrò saggia e pragmatica.
Il governo Fanfani fu certamente informato da Washington. Certo, non gli fu chiesto il permesso di ritirare i missili, ma fu indubbiamente trattato con formale correttezza e collaborò in tal modo alla soluzione del problema. Per avere maggiori notizie sull’effettivo ruolo di Fanfani, occorre una ricerca negli archivi del Dipartimento di Stato americano. Se qualcuno lo ha già fatto o si appresta a farlo, sarò lieto di informarne i lettori.