La Stampa, 9 aprile 2015
«Se non incoraggiamo i giovani a diventare lettori competenti, rischiamo di rovinare la loro vita». Parla James Patterson, lo scrittore che ha venduto 300 milioni di libri e che ora li dona all’Università. Ma non solo, finanzia circa 400 borse di studio per insegnanti in 26 atenei: «Molti talenti vengono sprecati perché le scuole non sono in grado di riconoscerli»
L’uomo che ha venduto 300 milioni di libri ora li regala, non necessariamente per creare nuovi clienti: «Abbiamo un problema enorme», avverte James Patterson, «negli Stati Uniti e non solo. Se non incoraggiamo i giovani a diventare lettori competenti, rischiamo di rovinare la loro vita».
L’occasione per questa conversazione con il prolifico autore è l’uscita in Italia da Longanesi del suo romanzo Uccidete Alex Cross, che verrà seguito ad aprile e maggio dalle opere per bambini Salvate Rafe! eDivertentissimo me pubblicate con Salani, e poi ancora a giugno da Il sospettato della serie di Jack Morgan. Il discorso però si trasferisce in fretta sulla causa a cui Patterson sta dedicando la sua vita: «Io non posso risolvere il riscaldamento globale o la crisi della sanità. I libri però sono la soluzione a molti problemi, e qui tutti possiamo fare la differenza».
Uccidete Alex Crossè il romanzo della serie del detective afroamericano di Washington in cui il terrorismo diventa protagonista. Un gruppo saudita chiamato «La Famiglia», che appunto recluta famiglie intere, attacca la capitale americana e rapisce i figli del presidente Usa. Perché puntare sul terrorismo?
«Da diversi anni è parte della nostra vita. Un poliziotto di Washington si imbatte in molti reati, ma trattandosi della capitale, dove hanno sede il governo, la Cia, l’Fbi, era naturale farlo entrare in contatto con la minaccia che ormai è ovunque».
La Washington diUccidete Alex Crosssembra totalmente fuori controllo, peggio dell’11 settembre 2001.
«È vero, ci sentiamo senza difese. La gente ha paura di viaggiare, ma ormai anche di andare a prendere il giornale: io e mia moglie ogni anno visitiamo l’Europa, ma ora ci stiamo ripensando. Il vantaggio però è che io scrivo fiction, e quindi nei miei romanzi posso risolvere i crimini, a differenza di quanto accade nella realtà. Questo conforta i lettori».
Come mai ha scelto di puntare il dito sull’Arabia Saudita?
«È un po’ il mistero di questo fenomeno. Sappiamo che molti finanziamenti del terrorismo vengono da là».
Perché ha deciso di far reclutare dagli estremisti intere famiglie, padri, madri e figli?
«Per rendere più umana la storia. Quando dai a un terrorista una famiglia che coinvolge nelle sue attività, vuol dire che fa qualcosa in cui crede davvero. Sbagliata, ma ci crede».
Gli stessi figli del Presidente vengono rapiti, nella costosa scuola privata che frequentano, mentre i ragazzi del quartiere di Alex Cross faticano per tirare avanti nel fatiscente sistema pubblico. Così nel romanzo entra dalla finestra anche il tema a cui lei sta dedicando la sua attività filantropica.
«Per me è una questione fondamentale. Se i bambini di 8 o 10 anni non sono lettori competenti, come potranno andare alle superiori? Come arriveranno all’università? Cosa capiranno del mondo e delle sue differenze? Che lavoro e che vita finiranno per fare?».
I figli del Presidente vanno alla scuola privata, i neri poveri a quella pubblica: la differenza sta tutta nei soldi?
«Non solo. Le scuole private ci sono in tutti i Paesi, ma negli Usa sono limitate a grandi città tipo New York, Boston, Washington, Los Angeles. Il resto del Paese va in quelle pubbliche, che spesso non sono all’altezza».
Quindi lei cosa sta facendo?
«Doniamo libri, finanziamo circa 400 borse di studio per insegnanti in 26 università, avviamo programmi come quello alla Vanderbilt University, dove i ragazzi vanno il sabato durante l’estate: è incredibile quanto migliorano i loro voti e le loro capacità, con un solo giorno a settimana di assistenza. Sono 18 mila le biblioteche scolastiche che ci hanno chiesto aiuto».
Lei scrive libri per ragazzi. Vuole rendere la lettura «cool»?
«Anche. Gli insegnanti devono capire che un libro proposto a scuola non deve essere necessariamente serio o noioso. Diamo ai ragazzi libri che li facciano ridere, che li spingano a chiederne un altro quando hanno finito».
C’è anche un problema di programmi che volete affrontare?
«Certo. Molti talenti vengono sprecati perché le scuole non sono in grado di riconoscerli. Magari non hanno programmi di arte, o di musica, ma si concentrano sull’inutile memorizzazione delle nozioni. Così perdiamo intere generazioni di giovani. Ma lo sa che i miei bestseller in Italia sono tutti libri per bambini?».
Come mai?
«Prima di tutto, perché penso che siano i miei testi migliori. Ma anche per il pregiudizio degli adulti, temo. È un problema che riguarda tutto il mercato estero, dove si fatica a vendere libri che hanno per protagonista un nero come Alex Cross. Il mondo spesso accusa gli Usa di essere razzisti, ma noi abbiamo eletto un presidente afroamericano, mentre molti all’estero non sono neppure interessati a leggere un libro su un nero. Anche a questo serve la lettura: sconfiggere il pregiudizio».
Lei finanzia le piccole librerie indipendenti. Perché?
«Stanno sparendo. E invece abbiamo bisogno di luoghi dove la gente possa andare a cercare i libri e possa discuterne. E abbiamo bisogno di editori che trovino, incoraggino e sviluppino gli autori».
Per questo ha partecipato alla mobilitazione contro Amazon? Oppure perché i suoi libri vengono pubblicati da Hachette, che aveva litigato con Bezos per come penalizzava i propri testi?
«Litigare con Amazon è inutile. Sarebbe bello, però, se una mattina il suo fondatore Jeff Bezos si svegliasse e decidesse di diventare l’uomo che ha salvato i libri in America, invece di strizzare qualche altro dollaro agli editori. Può farlo, anche con iniziative pratiche, tipo lo sviluppo di una flotta di droni per consegnare i testi ovunque. Andiamo verso la digitalizzazione, l’ebook, e va bene. Però dobbiamo salvare l’idea all’origine dello sviluppo di un libro, prima ancora della sua distribuzione. Potrebbe diventerebbe la missione di Amazon: il servizio pubblico per cui l’America e il mondo le sarebbero per sempre grati».