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 2015  aprile 09 Giovedì calendario

Addio a Lanfranco Colombo. Il gran signore della fotografia, fu lui il primo a portare in Italia Cartier-Bresson

«Cos’è per me la fotografia? Investire emozioni e denaro non attendendo ritorni, questo mi dà gioia ancora oggi: un modo sicuro di leggere le persone, quindi la vita». E la vita, Lanfranco Colombo, l’amava davvero. L’uomo che ha portato per primo in Italia la cultura della fotografia se n’è andato a 91 anni nel pomeriggio di sole di martedì a Genova, diventata il suo buon ritiro, dove viveva con la seconda moglie e «faro luminoso», la fotografa Giuliana Traverso.
È vero: per Lanfranco Colombo la fotografia era un modo per misurarsi con le persone, per dialogare con il mondo e non a caso ha voluto consegnare queste parole come fosse il messaggio più autentico su quello che è stato il suo credo assoluto, passione totale, ragione dell’esistenza. Ma per Colombo, soprattutto, la fotografia era davvero un bene culturale da scoprire, conoscere, diffondere e difendere. La sua è stata una battaglia, fino all’ultimo. E combattente, Colombo lo era davvero. Lo era quando, durante la guerra, lavorava alla «Prealpina» di Varese, ma nella tipografia stampava anche un giornale clandestino. Lo era quando è entrato nel Partito d’azione di Ferruccio Parri e quando fabbricava documenti falsi per partigiani ed ebrei.
E lo era anche quando il 13 aprile 1967 ha aperto una piccola galleria in via Brera 10, che decide di chiamare il Diaframma. Quella piccola galleria circolare a due piani diventerà il tempio della fotografia italiana, ma soprattutto l’inizio di una nuova stagione: quella del riconoscimento della fotografia come linguaggio autonomo nel sistema delle arti.
Tutti, italiani e stranieri, passano da il Diaframma che diventa per i fotografi quello che era stato il Jamaica per scrittori e artisti, cioè un luogo di ritrovo, di scambi, di litigate, ma soprattutto di occasioni per nuove scoperte. Lo conferma anche Arturo Carlo Quintavalle che ha scritto la prefazione del volume Lanfranco Colombo. Fotogrammi di una vita, edito nel 2010 da Allemandi: «In Italia, per almeno trent’anni, ha fatto per la fotografia più di chiunque altro: più delle grandi istituzioni e molto prima che il mercato si accorgesse della fotografia. Lo ha fatto con grande generosità rimettendoci di suo e, soprattutto, lo ha fatto scoprendo la grandissima parte dei nuovi e più validi autori».
È vero, da Lanfranco passavano tutti, italiani e stranieri. E lui, ereditando la simpatia, la gioiosa parlantina e l’attitudine ai rapporti umani del nonno Camillo (confezionava stivali in via Solferino) coinvolgeva fotografi, critici, fanciulle, chiunque insomma gli girasse intorno con una macchina fotografica o un portfolio.
Soprattutto, Colombo guardava alla qualità e all’estero: fu proprio lui a portare in Italia la prima mostra (nel 1966) di Cartier-Bresson al Pac di Milano. E e poi quanti altri nella sua galleria. Erano gli anni di grandi scoperte, di sfide, di complicità e amicizie viscerali. Come quella con Giancarlo Iliprandi, amico d’infanzia e compagno di viaggio anche nell’avventura di «Popular Photography Italiana»: «Popular, come la chiamavamo noi, fece conoscere agli italiani, Lartigue e Cartier-Bresson in parallelo con Diane Arbus e Krims. Naturalmente con un occhio di riguardo per Fontana, Giacomelli, Scianna e Cresci».
«Non ha confronti: Lanfranco è stato il più importante a far conoscere in Italia la fotografia del mondo», ricorda lo storico Italo Zannier. «È unico. Le nuove generazioni non sanno quale fosse la considerazione della fotografia nel dopoguerra». Negli ultimi anni milanesi Lanfranco Colombo era spesso presente alle inaugurazioni di mostre. Aveva sotto gli occhi i frutti di tutta la sua vita: una nuova considerazione della fotografia, il fiorire di festival, pubblicazioni di libri, nuove case editrici, festival, mostre, giovani talenti. Interveniva sempre e sempre si commuoveva. Capiva che il suo lavoro l’aveva fatto e doveva lasciare spazio alle nuove generazioni.
«Mi ricorda i grandi pionieri che con coraggio aprono la strada», dice affettuosamente Fabio Castelli che proprio domani inaugura il Mia, il festival della fotografia a Milano: chiunque oggi lavori con la fotografia gli deve molto.
Una vita piena davvero, quella di Lanfranco Colombo, sino all’ultimo: solo qualche settimana fa parlava di nuove mostre, conferenze, libri. Ora sono solo ricordi. Peccato. Per questo vale la pena ricordare le parole del suo amico Henri Cartier-Bresson: «Noi fotografi abbiamo sempre a che fare con cose che svaniscono di continuo, e quando sono svanite non c’è espediente che possa farle ritornare. Non possiamo sviluppare e stampare un ricordo».