Corriere della Sera, 9 aprile 2015
Breve ritratto di Jean-Marie Le Pen. L’uomo che fu il punto di riferimento per la Francia che sognava un ritorno all’epoca pre-rivoluzionaria, dove Dio è garante dell’ordine, ognuno sta al suo posto, gli immigrati non esistono e gli omosessuali si nascondono
Nel novembre del 1944 Jean-Marie Le Pen ha 16 anni. Il padre è morto due anni prima, al largo di La Trinité-sur-Mer, in Bretagna, ucciso da una mina raccolta assieme al pesce dalla rete del suo peschereccio. Il ragazzo Le Pen si rivolge al colonnello Henri de La Vaissière per arruolarsi nelle Forces françaises de l’intérieur, ovvero la Resistenza unita sotto il comando del generale de Gaulle. «Non possiamo più accettare soldati sotto i 18 anni – gli risponde il colonnello —. Sei orfano, un “Pupillo della Nazione”: occupati di tua madre».
Questo è stato l’unico contatto di Jean-Marie Le Pen con la parte giusta della Storia. Un incontro breve e forse, purtroppo, decisivo. Dopo quel rifiuto il figlio del pescatore e della sarta del villaggio bretone ha militato per tutta la vita con il campo meno nobile della Francia che tanto ama: Pétain e i suoi seguaci alleati dei nazisti, e poi nostalgici dell’impero coloniale, torturatori in Algeria, razzisti, antisemiti. Con coerenza e ottusità, a costo di litigare con la figlia, a 86 anni, e di farsi praticamente buttare fuori dal partito che ha fondato.
Finita la Seconda guerra mondiale, dopo gli studi in legge e scienze politiche, Le Pen parte volontario per l’Indocina, dove la Francia sta sperimentando l’inizio di un doloroso e inarrestabile processo di decolonizzazione, che lui non accetterà mai.
Arruolato nel primo battaglione paracadutisti, dimostra subito di amare l’azione ma anche la provocazione e qualche volta l’insulto: su Caravelle, il giornale del corpo di spedi- zione francese, scrive che «la Francia è governata da pederasti come Sartre, Camus, Mauriac».
Tornato in Francia, Jean-Marie Le Pen si dà alla politica grazie a Pierre Poujade, antesignano dei moderni populismi, ed entra con il suo movimento all’Assemblea nazionale: a 27 anni, Le Pen è il più giovane deputato dell’aula. Un anno dopo abbandona il partito di Poujade e fonda il Front national des combattants, embrione del Fn. Nel corso di una rissa a un comizio viene ferito a un occhio che finirà con il perdere: ecco la benda nera, che gli darà per molti anni un’immagine poco rassicurante, ma perfetta per il ruolo.
In parlamento Le Pen si distingue subito per l’arte oratoria, ma l’azione torna a chiamarlo: parte volontario per la guerra d’Algeria, dove tortura alcuni prigionieri «perché era necessario farlo», spiega senza tanti patemi il 9 novembre 1962 alla rivista Combat. La questione delle torture in Algeria continuerà a riaffacciarsi nel corso della sua carriera. Come sempre in questi occasioni, Jean-Marie Le Pen dà l’impressione di cavalcare la polemica: quel che fa inorridire molti francesi rafforza al tempo stesso l’aura di eroe anti-sistema presso i suoi sostenitori. Nel 1971, un altro caso: perso il seggio all’Assemblea nazionale, Le Pen fonda una casa discografica e pubblica quattro album dal titolo «III Reich. Voci e canti dell’Esercito tedesco» (con svastiche in copertina), che gli valgono due mesi di carcere con la condizionale per «apologia di crimini di guerra».
Un anno dopo, l’atto decisivo: Jean-Marie Le Pen fonda il Front National unendo i militanti di «Ordre Nouveau» e di altri movimenti di estrema destra che lottano per la patria, la famiglia e i valori tradizionali a loro dire devastati dal ‘68. Come simbolo, la fiamma tricolore (con il blu al posto del verde, ovviamente) copiata dal Msi di Giorgio Almirante.
Jean-Marie Le Pen è il punto di riferimento per la Francia che sogna un ritorno all’epoca pre-rivoluzionaria, dove Dio è garante dell’ordine, ognuno sta al suo posto, gli immigrati non esistono e gli omosessuali si nascondono. È così che il ricchissimo industriale del cemento Hubert Lambert nel 1976 gli lascia in eredità il suo impero e la dimora di Montretout: «Voglio che tu abbia i mezzi finanziari per non dipendere mai da nessuno. So che userai questa libertà per difendere le idee nazionali», gli dice prima di morire. Jean-Marie Le Pen non lo ha mai tradito. A costo di sbagliare tutta la vita, e di diventare un imbarazzo persino per la figlia e i compagni di partito – a loro volta ex impresentabili – che gli devono tutto.