la Repubblica, 9 aprile 2015
Così un test genetico può salvarci la vita. Non serve solo a prevenire un cancro come nel caso della Jolie, ma può anche sconfiggerlo. Nel Dna si può trovare anche la cura personalizzata per guarire da un tumore. Il problema restano i costi dell’analisi dei dati
Più personalizzata di così, la cura non potrebbe essere. Un paziente con il melanoma è stato visitato. Un campione del suo tumore è stato prelevato e l’intera sequenza del Dna letta. Sette mutazioni del genoma – responsabili della produzione di altrettante proteine aberranti – sono state selezionate. Usando queste proteine come “esca” è stato creato un vaccino ad hoc, mirato per quel tumore unico e irripetibile come il paziente che lo ospitava. La procedura è stata ripetuta per tre malati. Uno è guarito da nove mesi, negli altri due il cancro ha smesso di crescere.
I ricercatori dell’università di Washington a Saint Louis non dicono quanto sia costata la tecnica. Insistono che il loro esperimento – pubblicato da Science – sia una prova di concetto. «Abbiamo raggiunto il massimo della personalizzazione possibile» sottolinea Elaine Mardis, responsabile della ricerca delle “esche”. «Ma non credo sia lontano il futuro in cui i tumori verranno trattati con un’immunoterapia individualizzata» crede Alberto Mantovani, immunologo e direttore scientifico della Humanitas University a Milano. «Con l’aiuto dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro stiamo testando delle cellule del sistema immunitario rieducate in vitro. Una volta reinfuse nei pazienti, iniziano a comportarsi come assassini prezzolati contro le cellule del tumore». Non è un caso che il successo degli scienziati di Saint Louis arrivi poco dopo il lancio del presidente americano Obama di un’iniziativa per la “medicina di precisione”. «Voglio che il paese che ha sequenziato l’intero genoma umano guidi una nuova era della medicina», ha detto nel discorso sullo stato dell’Unione il 20 gennaio. «Un’era che sia in grado di fornire la cura giusta al momento giusto». Il presidente ha accompagnato l’annuncio con lo stanziamento di 215 milioni di dollari.
Poiché molti farmaci contro il cancro funzionano solo se la malattia è causata da precise mutazioni del Dna, un test genetico prima della scelta del trattamento ridurrebbe del 34% l’uso della chemioterapia per il cancro del seno, secondo la Personalized Medicine Coalition (Pmc). Il Policlinico Gemelli di Roma ha avviato una rete per identificare in tre settimane una di queste mutazioni – quella del gene Brca di cui è portatrice l’attrice Angelina Jolie – nelle donne con tumore delle ovaie e nelle loro parenti. L’uso sempre più frequente dei test è reso possibile oggi dalla “rivoluzione della genetica”: mentre sequenziare il primo genoma umano per intero costò vari miliardi di dollari nel 2001, oggi bastano circa mille dollari. Sempre più farmaci antitumorali vengono venduti in abbinamento con un test genetico per stabilire in anticipo il successo della terapia. «I costi maggiori – spiega Monica Miozzo, genetista dell’università di Milano e vicepresidente della Società italiana per la medicina personalizzata – non arrivano dal sequenziamento in sé, ma dall’analisi dei dati. Sono necessari computer potenti e bioinformatici specializzati».
Nel 2006 i farmaci personalizzati, cioè indicati per pazienti con precise mutazioni, erano solo 13 negli Stati Uniti. Nel 2014 erano 113. Oggi rappresentano il 30% dei farmaci alla fine della sperimentazione e il 60% di quelli nelle fasi iniziali. Una di queste medicine, l’Ivacaftor, dal 2012 ha cambiato la vita di un gruppo di pazienti con la fibrosi cistica. «La malattia può essere causata da quasi duemila mutazioni» spiega Luis Galietta, genetista dell’Istituto Gaslini di Genova. «Tutte le mutazioni danneggiano la stessa proteina, ma in maniera diversa. Per il circa 5% dei malati portatori di una mutazione oggi esiste un farmaco efficace».
La realizzazione di protesi su misura è un’altra promessa della medicina personalizzata. Grazie all’uso di una stampante a tre dimensioni, due anni fa una trachea artificiale è stata impiantata su una bambina di un mese e mezzo negli Stati Uniti. Le stesse tecniche di precisione cominciano a essere usate anche per protesi di anca e cranio, anche se la maggior parte delle applicazioni della medicina personalizzata oggi riguardano la cura dei tumori e la cosiddetta “farmacogenetica”. A seconda di particolari mutazioni dei geni (indicate sempre più spesso nei “bugiardini”) i medicinali possono essere assorbiti dai pazienti più o meno facilmente (variando le dosi ottimali), provocare gravi reazioni avverse (per un farmaco contro l’Hiv il test genetico è addirittura obbligatorio) o essere inutili. Secondo i dati Pmc, se somministrati indiscriminatamente, sono inefficaci il 38% dei farmaci contro la depressione, il 43% contro il diabete, il 70% contro l’Alzheimer e il 75% degli antitumorali. La combinazione tra cure mediche e caratteristiche genetiche va sicuramente a vantaggio dei pazienti, ma a volte può creare anche un corto circuito nella società. Quando nel 2005 gli Usa approvarono BiDil, un anti-ipertensivo indicato per i “self-identified Blacks”, cioè per i neri, la farmacogenetica venne accusata di sfociare nel razzismo. Oggi la dicitura nell’etichetta è stata sostituita con “afroamericani”.
Nel tentativo di massimizzare l’incontro fra i pazienti e i loro farmaci “ideali”, negli Stati Uniti due anni fa è partito lo studio “Match”. Circa mille pazienti vengono suddivisi non in base all’organo colpito dal loro tumore, ma in base alle mutazioni che hanno scatenato la malattia. In molti casi un farmaco usato ad esempio contro il melanoma può essere efficace anche per curare un cancro della tiroide. Questo “riposizionamento dei farmaci” in base alle caratteristiche genetiche del Dna è una rivoluzione copernicana per l’oncologia, ma rischia di diventare un labirinto difficile da gestire, a causa della mole di dati e variabili che l’analisi genetica comporta. Per questo Pier Paolo Pandolfi, direttore del Cancer Center di Harvard, a Boston, ha chiesto aiuto ai topi. Nel suo mouse hospital i tumori degli uomini vengono riprodotti nelle cavie da laboratorio per essere affrontati come se fossero avatar. «Normalmente usiamo venti “pazienti” roditori per ogni farmaco. Ma il numero è espandibile a nostro piacimento» spiega.
Nel campo dei trattamenti personalizzati, il vaccino contro il melanoma di Saint Louis ha un precedente: Provenge, approvato negli Usa nel 2010. Ma proprio a causa del prezzo (93mila dollari a trattamento) e dell’efficacia limitata la ditta che l’ha realizzato è frattempo nel fallita. Quella dei costi, per Mantovani, resta infatti un’incognita pericolosa. «La medicina personalizzata è una risorsa preziosa, purché non diventi un’opzione solo per chi se lo può permettere».