Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 09 Giovedì calendario

Lui è un nero disarmato che scappa in un parco, l’altro è un agente che gli spara otto colpi alla schiena poi ammanetta il cadavere e gli getta vicino il taser per far credere che glielo aveva rubato. Ma c’è anche un terzo protagonista, un passante che ha ripreso tutta la scena e lo ha fatto arrestare. Walter Scott, il 50enne fermato per un faretto rotto è morto, ma il poliziotto, il suo assassino, è finito dietro le sbarre

Un tiro al bersaglio mobile. Otto colpi alla schiena, sparati freddamente. Come in un videogame. Nella tragedia, per fortuna il video esiste davvero. Ha inchiodato l’agente Michael Slager, 33 anni, della polizia di North Charleston in South Carolina. Incriminato subito, per omicidio e poi licenziato : una rarità. Non succede quasi mai che la giustizia si muova rapida e severa, quando un agente bianco uccide un nero. La vittima stavolta si chiama Walter Scott. Aveva 50 anni. E un faretto posteriore rotto, sulla sua Mercedes. Per quella piccola infrazione al codice della strada, il poliziotto lo ha fermato. Scott ha avuto paura, ha girato le spalle ed è scappato. La scena seguente, l’America intera l’ha scoperta solo grazie a un passante che ha ripreso tutto sul suo smartphone. «Senza quel video non avremmo mai saputo la verità», dice il padre di Scott. La verità, orrenda, è in quella scena durata pochi minuti. Il poliziotto tenta di immobilizzare Scott scaricandogli addosso il suo Taser, la pistola elettrica paralizzante. Non ci riesce, l’altro si allontana di corsa. L’agente sfodera la pistola e apre il fuoco. Non è un tiratore scelto. Otto colpi, uno dopo l’altro. Solo alla fine Scott si accascia a terra. La metà di quei colpi lo hanno colpito, dai glutei alla schiena. L’orrore non si ferma qui. Lo smartphone del passante continua a riprendere. L’agente tenta di costruirsi un alibi, getta il suo Taser a terra vicino al corpo della sua vittima. Poi alla radio chiama il quartier generale: «Ho fermato un individuo che mi aveva rubato il Taser». Tenterà di giustificarsi così: era lui in pericolo. Arrivano i suoi colleghi, osservano distrattamente Scott steso a terra, e non tentano neppure di rianimarlo pur avendo gli apparecchi del pronto soccorso. Una scena ignobile, “salvata” solo dal testimone e dal suo video. Il sindaco Keith Summey annuncia poche ore dopo l’incriminazione per omicidio: «Chi sbaglia deve assumersene le responsabilità, chiunque sia».
Si scopre anche il perché della fuga quasi immediata di Scott, di fronte a quel controllo per un fanalino rotto. In passato era stato sancito dalla giustizia per non avere pagato in tempo gli alimenti per i figli. Una banale infrazione al codice stradale può degenerare in qualcosa di molto peggiore, se hai dei precedenti anche minori con la giustizia, e in più sei nero. La tragedia di North Charleston restituisce un’altra immagine di quasi-apartheid nel profondo Sud. La cittadina ha centomila abitanti, 47% sono neri e 37% bianchi. Ma le forze di polizia sono fatte all’80% di bianchi. Gli abusi razziali sono sistematici. In altre situazioni simili, li ha denunciati lo stesso Dipartimento di Giustizia federale. Ma i cambiamenti sono lenti a venire.
Un cambiamento positivo arriva: da Ferguson, la cittadina del Missouri dove venne ucciso l’anno scorso Michael Brown. In quel caso il poliziotto non fu incriminato neanche per reati “minori”, tipo omicidio colposo, perché un Grand Jury accolse in pieno la tesi della legittima difesa (nonostante che Brown fosse disarmato). Ora però almeno l’apartheid politico è cessato. I cittadini di Ferguson hanno votato, l’affluenza al voto è raddoppiata dal 15% al 30%. E così la cittadina abitata per due terzi da afroamericani, ora avrà un consiglio comunale almeno al 50% nero. È stato accolto l’appello che aveva lanciato Barack Obama: alla popolazione afroamericana il presidente aveva detto che non basta denunciare abusi e ingiustizie, se poi il giorno delle elezioni si rimane a casa. La bassa affluenza al voto, patologia nazionale, non colpisce necessariamente i neri: alle presidenziali in cui Obama era candidato, andarono alle urne in massa. Spesso è proprio nel Sud che prevale la sfiducia, la disaffezione, l’assenteismo. Col risultato di regalare agli amministratori bianchi ancora più potere e impunità.